La birra è una bevanda alcolica ottenuta tipicamente dalla fermentazione di mosto a base di malto d'orzo, aromatizzata e amaricata con luppolo[1]. Tra le più diffuse[2] e più antiche[3] bevande alcoliche del mondo, viene prodotta attraverso la fermentazione alcolica (con ceppi di lievito di Saccharomyces cerevisiae o Saccharomyces carlsbergensis) di zuccheri derivanti da fonti amidacee, la più usata delle quali è il malto d'orzo, ovvero l'orzo germinato ed essiccato, chiamato spesso semplicemente malto.
In questo processo si utilizzano spesso ingredienti, metodi produttivi e tradizioni diversi: al posto dell'orzo possono infatti venire usati frumento, mais, riso - questi ultimi due specialmente come aggiunte in birre di produzione industriali - e, in misura minore, avena, farro, segale, mentre altre piante meno utilizzate sono invece radice di manioca, miglio e sorgo in Africa, patata in Brasile e agave in Messico; il tipo di lievito e il metodo di produzione vengono tipicamente usati per classificare le birre in ale, lager o birre a fermentazione spontanea.
Durante il processo di produzione, il malto viene immerso in acqua calda dove, grazie all'azione di alcuni enzimi presenti nella radichetta formatasi durante la germinazione, gli amidi presenti vengono convertiti in zuccheri fermentescibili, con il mosto zuccheroso ottenuto che può essere a sua volta aromatizzato con erbe aromatiche, frutta o più comunemente luppolo; successivamente viene impiegato un lievito dando inizio alla fermentazione, portando cosi' alla formazione di alcool, unitamente ad anidride carbonica (per la maggior parte espulsa) ed altri prodotti di scarto derivanti dalla respirazione anaerobica dei lieviti.
La parola italiana birra deriva dal tedesco Bier, un prestito del XVI secolo[4]. Il termine ha rimpiazzato l'antico cervogia, che indicava le birre fatte senza luppolo[5]. Dalla stessa parola tedesca deriva il francese bière[6]. Sono imparentati con Bier l'inglese beer e il neerlandese bier[6]. L'origine della stessa parola germanica (dall'antico alto tedesco bior) è incerta: si pensa che sia un prestito del VI secolo dal latino volgare biber "bibita, bevanda", dal verbo latino bibere[7], oppure derivi direttamente dal protogermanico *beuwoz-, da *beuwo- "orzo"[6].
In inglese si usa, oltre a beer, un altro termine per indicare la birra: ale. Antiche fonti inglesi fanno distinzione tra le due parole, ma non definiscono cosa si intenda per "birra" durante quel periodo, nonostante sia possibile che si riferisca all'idromele (mead)[6]. La forma dell'antico inglese beor[6] è scomparsa subito dopo la conquista normanna dell'Inghilterra (in risposta all'introduzione del luppolo che non sarà ampiamente utilizzato per altri duecento anni), e il termine è rientrato a far parte della lingua inglese solamente secoli dopo, riferendosi esclusivamente alle bevande di malto con luppolo. Fino a quel momento il termine ale si riferì specificamente a birre senza luppolo, nonostante questa non sia più la definizione attuale della parola (indica infatti le birre ad alta fermentazione). Si ritiene che ale derivi direttamente dalla radice indoeuropea *alu-, e sia arrivata alla forma attuale attraverso il termine germanico *aluþ-[8]. La stessa radice è all'origine dello svedese öl e del danese e norvegese øl; da queste è stata prestata alle lingue baltiche (lettone e lituano alus) e a quelle baltofinniche (finlandese olut ed estone õlu).
Nelle lingue spagnola e portoghese, e nei loro dialetti, la bevanda viene chiamata cerveza, cerveja o con un termine analogo a questa forma, che deriva dal latino cervēsia o cer(e)vīsia[5] così come il francese cervoise "birra senza luppolo", da cui cervogia. La forma latina è un probabile relitto mediterraneo preindoeuropeo[5] come cerea o caelia, bevanda fermentata usata nella Spagna romana[9]. La radice protoindoeuropea *ḱerh₃- (saziare, nutrire) è la stessa delle parole cereale, del verbo latino crescere e di Cerere, divinità romana della fertilità e patrona, fra le altre cose, dei raccolti[10]. Un'altra interpretazione è che il termine provenga da una voce gallica[11].
Il termine proto-slavo *pivo, letteralmente "bevanda", è la parola per definire la birra nella gran parte delle lingue slave, con piccole variazioni fonetiche presenti tra lingua e lingua. In greco antico – la bevanda non era tradizionale in Grecia – la parola per la birra egiziana era ζῦθος zŷthos (forse da ζύμη zýmē, "lievito"[12]), per quella frigia o trace βρῦτον brŷton[6]; oggi si usa un prestito dall'italiano[13]: μπίρα bíra.
(EN)
«For a quart of ale is a dish for a king.» |
(IT)
«ché un boccale di birra è un pasto da re.» |
(William Shakespeare, da Il racconto d'inverno, atto IV, scena III) |
La birra è una delle bevande più antiche prodotte dall'uomo, probabilmente databile al settimo millennio a.C., registrata nella storia scritta dell'antico Egitto e della Mesopotamia[14]. La prima testimonianza chimica nota è datata intorno al 3500-3100 a.C.[15]. Poiché quasi qualsiasi sostanza contenente carboidrati, come ad esempio zucchero e amido, può andare naturalmente incontro a fermentazione, è probabile che bevande simili alla birra siano state inventate l'una indipendentemente dall'altra da diverse culture in ogni parte del mondo. È stato sostenuto che l'invenzione del pane e della birra sia stata responsabile della capacità dell'uomo di sviluppare tecnologie e di diventare sedentario, formando delle civiltà stabili.[16][17][18]. È verosimile che la diffusione della birra sia infatti coeva a quella del pane; poiché le materie prime erano le stesse per entrambi i prodotti, era solo "questione di proporzioni": se si metteva più farina che acqua e si lasciava fermentare si otteneva il pane; se invece si invertivano le quantità mettendo più acqua che farina, dopo la fermentazione si otteneva la birra.
Si hanno testimonianze di produzione della birra già presso i Sumeri. Proprio in Mesopotamia sembra sia nata la professione del birraio e testimonianze riportano che parte della retribuzione dei lavoratori veniva corrisposta in birra.[19] Due erano i principali tipi prodotti nelle case della birra: una birra d'orzo chiamata sikaru (pane liquido) e un'altra di farro detta kurunnu. La più antica legge che regolamenta la produzione e la vendita di birra è il Codice di Hammurabi (1728-1686 a.C.) che condannava a morte chi non rispettava i criteri di fabbricazione indicati (ad esempio annacquava la birra) e chi apriva un locale di vendita senza autorizzazione[20]. Nella cultura mesopotamica la birra aveva anche un significato religioso: veniva bevuta durante i funerali per celebrare il defunto ed offerta alle divinità per propiziarsele.
La birra aveva analoga importanza nell'Antico Egitto, dove la popolazione la beveva fin dall'infanzia, considerandola anche un alimento ed una medicina. Addirittura una birra a bassa gradazione o diluita con acqua e miele veniva somministrata ai neonati quando le madri non avevano latte. Anche per gli Egizi la birra aveva un carattere mistico, tuttavia c'era una grossa differenza rispetto ai Babilonesi: la produzione della birra non era più artigianale, ma era divenuta una vera e propria industria, con i faraoni che possedevano persino delle fabbriche.
Si parla di birra anche nella Bibbia e negli altri libri sacri del popolo ebraico come il Talmud; nel Deuteronomio si racconta che durante la festa degli Azzimi si mangiava per sette giorni il pane senza lievito e si beveva birra. Lo stesso avviene durante la festività del Purim.
In Sardegna affermano che i Nuragici producevano birra sin dal 1350-1200 A.C. Le ceramiche ritrovate nel sito nuragico hanno trattenuto al loro interno le molecole e gli acidi grassi delle sostanze che venivano cucinate. Gli esami hanno stabilito che alcuni di queste sono tipici della birra. Sono in corso ulteriori studi per capire quali frutti e sostanze venivano utilizzate in modo da scoprirne la ricetta.[senza fonte]
La Grecia, più orientata sul vino, non produceva birra ma ne consumava molta, soprattutto per le feste in onore di Demetra e durante i giochi olimpici durante i quali era vietato il consumo del vino. La bevanda arrivava in Grecia tramite i commercianti fenici.
Anche gli Etruschi e i Romani preferivano di gran lunga il vino, tuttavia ci furono personaggi famosi che divennero sostenitori della birra, come ad esempio Agricola, governatore della Britannia, che una volta tornato a Roma nell'83 d.C. portò con sé tre mastri birrai da Glevum (l'odierna Gloucester) e fece aprire il primo pub nella penisola italiana.[senza fonte]
I veri artefici della diffusione della bevanda in Europa furono comunque le tribù Germaniche e Celtiche. Questi ultimi in particolare si stanziarono in Gallia, in Britannia e soprattutto in Irlanda, dove addirittura esiste una leggenda secondo cui gli irlandesi discendono da un popolo di semidei chiamati Fomoriani che avevano la potenza e l'immortalità grazie al segreto della fabbricazione della birra, che fu loro sottratto dall'eroe di Mag Mell.[Cioè?]
Molti non riconoscerebbero come "birra" ciò che bevevano i primi abitanti dell'Europa in quanto le prime birre contenevano ancora al loro interno i prodotti da cui proveniva l'amido (frutta, miele, piante, spezie).[21] Il luppolo come ingrediente della birra fu menzionato per la prima volta solo nell'822 da un abate carolingio[22] e di nuovo nel 1067 dalla badessa Ildegarda di Bingen.[23] Fu proprio merito dei monasteri durante il Medioevo il salto di qualità nella produzione della bevanda. Persino le suore avevano tra i loro compiti quello di produrre la birra, che in parte era destinata ai malati e ai pellegrini. Anche in Gran Bretagna la birra prodotta dalle massaie veniva messa a disposizione delle feste parrocchiali ed utilizzata per scopi umanitari. In Inghilterra in particolare, la birra divenne bevanda nazionale in quanto l'acqua usata per la sua produzione veniva bollita e quindi sterilizzata.
La birra prodotta prima della rivoluzione industriale era principalmente fatta e venduta su scala domestica[24], nonostante già dal settimo secolo d.C. venisse prodotta e messa in vendita da monasteri europei. Durante la rivoluzione industriale, la produzione di birra passò da una dimensione artigianale ad una prettamente industriale e la manifattura domestica cessò di essere significativa a livello commerciale dalla fine del XIX secolo[25]. Lo sviluppo di densimetri e termometri cambiò la fabbricazione della birra, permettendo al birraio più controlli sul processo e maggiori nozioni sul risultato finale. Inoltre, sempre nello stesso periodo, furono eseguiti studi specifici sul lievito, che permisero di produrre la birra a bassa fermentazione, di gran lunga la più diffusa nel mondo.
Stando a dati raccolti nel 2005, l'industria birraria è diventata un business di proporzioni globali, dominata da pochi soggetti internazionali[26] (InBev, Anheuser-Busch, SABMiller, Heineken, Carlsberg solo per citarne alcuni), accanto a cui convivono molte migliaia di produttori minori che spaziano dai brewpub ai birrifici regionali.
Per avere un'idea dell'ordine di grandezza del giro d'affari, basta pensare che nel 2008 sono stati consumati oltre 180 miliardi di litri[27] di birra che fruttano entrate totali per un ammontare di circa 400 miliardi di dollari (dati 2007).[28]
Nel marzo 2008 la SABMiller divenne il più grande produttore di birra del mondo, acquistando l'olandese Royal Grolsch.[29] La belga InBev era quindi al secondo posto[30] di questa particolare "classifica" e la statunitense Anheuser-Busch era in terza posizione. Tuttavia il 18 novembre 2008 dalla fusione di queste ultime due società nacque la Anheuser-Busch InBev, che divenne così il leader mondiale del settore.[31][32]
Il primato dei consumi spetta ancora all'Europa con 72 litri/anno pro capite, anche se nel 2008 si è verificato un calo della produzione e dei consumi[27]. Negli ultimi anni l'industria birraria si sta espandendo notevolmente in nuovi mercati emergenti come l'America Latina o in misura ancora maggiore l'Asia. La crescita è notevole soprattutto in Cina, che è diventato il più grande mercato nazionale della birra con oltre 410 milioni di ettolitri prodotti[27]. Un caso particolare è quello dell'Oceania che, sebbene abbia consumi pro-capite al livello di quelli europei, conta poco in termini di volumi totali a causa della scarsa popolazione.
In genere le attrezzature necessarie per una birrificazione casalinga sono raccolte in kit e distribuite da ditte specializzate. Sempre più diffusa è
però la tendenza a procurarsi e costruirsi da soli gli strumenti necessari.Accanto a questo business mondiale è molto attiva anche la produzione casalinga che rispecchia nel piccolo la produzione industriale. La produzione casalinga di
birra è legale in Italia solamente dal 1995, anno in cui venne approvato il decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504.
Per la produzione casalinga è possibile adottare tre diverse tecniche che differiscono tra di loro per la difficoltà e per la qualità del prodotto finale:
La produzione di birra da estratto salta alcune fasi importanti del processo, tra cui l'ammostatura (mashing) e il lavaggio delle trebbie (sparging). Per questa ragione non è da considerarsi propriamente "birrificazione".[33]
Negli ultimi anni sta prendendo piede presso gli appassionati una variante della tecnica All Grain, la BIAB (acronimo di "Brewing in a bag"). I grani macinati sono introdotti nella pentola di "mashing" all'interno di una sacca filtro, che può essere comodamente rimossa prima della bollitura. Saltando la fase di "sparging", la tecnica BIAB permette di ridurre notevolmente costi e tempi di produzione.
Il maltoLa produzione di birra è possibile con qualunque tipo di cereale. Questo però deve essere preparato affinché i suoi zuccheri diventino fermentescibili. In alcuni casi è sufficiente una semplice cottura, come nel caso del mais, mentre in altri casi è necessario "maltare" il cereale.
Quando non si tratti di orzo, allora si specifica il cereale di partenza (malto di frumento, malto di avena, ecc.).
Il termine "miscela", il cui nome tecnico è "grist", si riferisce ai cereali e ai tipi di malto che si utilizzeranno per preparare il mosto. Questi infatti possono essere composti da un solo tipo di orzo maltato, oppure da una "miscela" di diversi tipi, oppure ancora da malti ed altri cereali maltati e non. Le proporzioni e i componenti di questa miscela sono fondamentali per la scelta e la determinazione dello stile di birra che si vuole produrre.
I diversi cereali che si utilizzano per produrre birra presentano ognuno una serie di varietà botaniche che moltiplicano le possibilità di scelta del birraio. Si possono trovare sul mercato fino a 60 tipi diversi di grano[34], numero che aumenta considerevolmente se teniamo conto anche dei malti caserecci. Di base, i cereali si possono distinguere in quattro categorie:
Il luppolo è molto delicato e viene normalmente essiccato subito dopo il raccolto che avviene dalla fine di agosto ad ottobre a seconda delle varietà e del microclima della zona di coltivazione. L'impiego di luppolo non essiccato è di recente introduzione e solo per alcune birre stagionali: in tal caso deve essere impiegato nella preparazione della birra entro poche ore dal raccolto. Il luppolo sul mercato si trova in diverse forme: coni essiccati pressati, in plug (coni pressati in grosse pastiglie) oppure macinato e estruso in piccoli pellet; diffuso, specie nella produzione industriale, l'uso di estratti di luppolo.
La varietà e la freschezza del luppolo influenzano sensibilmente le caratteristiche finali della birra.
Oltre al luppolo, nella storia si sono usati numerosissimi additivi botanici per la birra, tra cui:
Oltre alle caratteristiche minerali e batteriologiche di potabilità che obbligatoriamente deve avere, ogni birra richiederà una qualità differente di acqua: talune necessitano di acque
poco mineralizzate, altre acque più dure
con molto calcare. Nella moderna produzione quasi nessuna
birra viene prodotta con l'acqua così come fluisce, ma con acqua che viene prima trattata nel birrificio in modo da avere sempre le stesse caratteristiche e non alterare la ricetta. In
particolare l'acqua viene a volte filtrata o demineralizzata al fine di ridurre la durezza. Solitamente viene anche sottoposta a procedimento di declorazione preliminare sia per ragioni
produttive che organolettiche.La birra è composta dall'85% al 92% di acqua.
Tra i minerali dell'acqua che interessano maggiormente i birrai ci sono il calcio, i solfati e i cloruri. Il calcio aumenta la separazione del malto e del luppolo nella macerazione e nella cottura, e scurisce la birra dandole opacità e torbidezza. Il rame, il manganese e lo zinco inibiscono la flocculazione dei lieviti. I solfati rinforzano l'amarezza e la secchezza del luppolo. I cloruri danno una tessitura più piena e rinforzano la dolcezza.
Nella moderna produzione si ha un consumo di circa tre ettolitri d'acqua per ogni ettolitro di birra prodotta.
Nella produzione della birra, specialmente in quella chiamata a fermentazione spontanea, possono intervenire anche altri lieviti. In queste birre il produttore non ne seleziona nessuno in particolare, ma permette a tutti i lieviti in sospensione nell'aria di introdursi nel mosto. In questo modo intervengono, oltre al Saccharomyces, più di 50 fermentatori differenti tra cui il Lactobacillus, che è un batterio che produce l'acido lattico, ed il Brettanomyces, che produce l'acido acetico. Queste birre, che vengono chiamate Lambic, sono dunque acide per definizione, e la loro produzione richiede procedimenti speciali destinati a ribassarne il grado di acidità.
La prima di queste fasi è la "maltificazione" (detta anche "maltazione"): l'orzo o gli altri cereali, dopo essere stati selezionati e ripuliti, vengono immessi nelle vasche di macerazione dove ricevono l'acqua e l'ossigeno necessario per
la germinazione.Il processo produttivo della birra
viene chiamato "birrificazione" o "brassaggio" e
richiede numerose fasi di lavorazione.
Questo processo dura in genere tre o quattro giorni durante i quali l'acqua è mantenuta a temperature comprese fra i 12 e i 15 °C e viene continuamente cambiata. Una volta che è stato raggiunto il grado di umidità sufficiente, l'orzo viene messo a germinare per circa una settimana nei cassoni di germinazione o comunque in un luogo ben aerato.
Il processo viene arrestato tramite essiccazione o torrefazione[39] quando il germoglio ha raggiunto circa i due terzi della lunghezza del chicco.
L'orzo maltato viene quindi macinato fino ad ottenere una specie di farina o graniglia che viene poi miscelata con acqua calda a circa 65-68 °C. Questa fase è detta ammostamento, in quanto il malto si trasforma in mosto. Precisamente questo avviene quando l'amido ancora presente nel malto si trasforma in maltosio, uno zucchero. La massa mantenuta in agitazione viene portata, con opportune soste, alle temperature ottimali per l'attività enzimatica di degradazione di amido e proteine, favorendone così la solubilizzazione nel mosto.
La parte liquida viene quindi separata dalla parte solida tramite filtrazione all'interno di un tino filtro, in cui il mosto con le trebbie viene pompato dal basso. Quando tutto il mosto è stato trasferito, si lascia che le trebbie sedimentino sul falso fondo forato, e si procede quindi alla filtrazione. Per raggiungere un buon livello di limpidezza, il mosto viene fatto ricircolare più volte.
Il passo successivo è la "cottura" del mosto all'interno di apposite caldaie, tradizionalmente in rame che è un ottimo conduttore termico e che non si degrada eccessivamente. Il tempo di cottura è fondamentale per la scelta del tipo di birra che si vuole produrre ed anche per la sua qualità, in quanto durante questo processo avvengono la gran parte delle reazioni biochimiche; normalmente varia tra un'ora e due ore e mezza. Durante la bollitura, che nei birrifici moderni avviene tramite getti di acqua bollente ad alta pressione, si ha anche l'importante processo di sterilizzazione del mosto. Sempre durante questa operazione avviene l'aggiunta del luppolo. In genere la sala di cottura viene considerata come il "cuore" del birrificio.
Nel corso dell'ebollizione, in seguito a reazione tra i polifenoli del malto e del luppolo e le proteine del malto, si formano complessi insolubili che costituiscono il "trub a caldo". Questo tende a precipitare al termine del processo e l'allontanamento è considerato fondamentale per la qualità e la stabilità della futura birra. Questa azione è effettuata mediante l'uso del whirlpool, tino in cui il mosto giunge tangenzialmente generando una forza centrifuga che determina la raccolta della fase torbida sul fondo, al centro del recipiente, e permette la separazione di una fase liquida limpida.
In seguito il mosto viene raffreddato fino a temperature a cui può avvenire la fermentazione: dai 4 ai 6 °C per la bassa fermentazione e dai 15 ai 20 °C per quella alta.
La fermentazione si divide in due fasi; la prima, detta fermentazione principale, vede come protagonista il lievito che ha la funzione di trasformare gli zuccheri e gli aminoacidi presenti nel mosto in alcol, anidride carbonica e sostanze aromatiche. Il processo che utilizza Saccharomyces cerevisiae è più rapido, in genere tre o quattro giorni, di quello a bassa fermentazione, in quanto si svolge a temperature superiori e i processi di fermentazione sono favoriti dal calore. Questo lievito inoltre risale in superficie e viene recuperato con schiumature e per questo è notevolmente economico.
La fermentazione secondaria, detta anche maturazione, invece consiste nel lasciare per circa quattro o cinque settimane la birra in grosse vasche di maturazione a una temperatura compresa fra 0 e 2 °C. Questa operazione permette di saturare di anidride carbonica la birra e di far depositare i residui di lievito, oltre che armonizzare i vari ingredienti.
Infine c'è la pastorizzazione che è un processo a cui non tutte le birre vengono sottoposte. Consiste nel portare la birra alla temperatura di 60 °C per distruggere alcuni microrganismi e quindi conservare maggiormente il prodotto. La birra non pastorizzata viene definita "cruda".[40]
Alla fine del processo alcune birre vengono illimpidite tramite filtrazione (più o meno stretta) per togliere loro i residui di opacità e velatura; successivamente sono imbottigliate o infustate. Una birra che non ha subito l'operazione di illimpidimento prima dell'imbottigliamento (o infustamento) è detta "non filtrata".
Esistono alcune birre che sono "rifermentate in bottiglia". In questo caso, prima di chiudere il tappo, si aggiunge del lievito in modo che, oltre alle due ordinarie fermentazioni, ne avvenga una terza che aumenta il tasso alcolico. Sono un'eccezione le birre di frumento che, pur avendo lievito all'interno della bottiglia, mantengono una gradazione normale.
Tra le fasi del processo produttivo la fase di fermentazione del mosto è quella che non solo determina il carattere e il contenuto alcolico della birra, ma è pure origine di una serie rilevante di sostanze che ne influenzano gli aspetti organolettici non solo gustativi e di struttura, ma anche di sensazioni odorose e aromatiche.
Vi sono due tipi di fermentazione: l'alta fermentazione e la bassa fermentazione. Questi due procedimenti diversi sono alla base della classificazione nei due distinti macro tipi di birra omonimi. Si veda Classificazione dove viene spiegato che in realtà esiste, seppur pochissimo diffusa, anche un terzo tipo di fermentazione. Il diverso intervallo di temperatura a cui si svolgono i due tipi di fermentazione è una condizione fisica imprescindibile per lo svolgimento dei processi enzimatici e chimici peculiari dei due ceppi di lieviti distinti.
Dal punto di vista terminologico la dizione "alta" e "bassa" relativa alla fermentazione del mosto di birra non è legata al diverso intervallo di temperatura, più alto nell'utilizzo del Saccharomyces cerevisiae per le birre Ale e più basso nell'utilizzo del Saccharomyces carlsbergensis per le birre Lager. Anche se abbastanza diffusa, questa spiegazione è tuttavia errata[41]. La dizione infatti è legata al movimento dei lieviti esauriti nel tino a fine fermentazione: il cerevisiae sale in "alto" ovvero in superficie, il carlsbergensis scende in basso, ovvero sul fondo. Il movimento in alto e in basso è conseguenza della specificità metabolica dei due lieviti diversi.
Fu lo stesso Emil Christian Hansen, lo scienziato danese che nel laboratorio della Carlsberg per primo utilizzò il tipo di lievito che poi prenderà il suo nome, a suddividere[42] i lieviti per la produzione della birra in top-fermenting (alta fermentazione, ove top si riferisce al fatto che "si dirigono in alto") e in bottom-fermenting (bassa fermentazione, ove bottom si riferisce al fatto che "si dirigono in basso").
Nei birrifici, quando si produce una birra di stile ale, si può assistere alla consueta operazione di raccolta della massa di lievito sulla superficie del tino con l'impiego del tradizionale "cucchiaione". Invece, nei serbatoi ove si è svolta la fermentazione di una birra di stile lager, il lievito forma una specie di marmellata che si adagia sul fondo della vasca da dove viene poi estratto.
Sono numerose le possibilità di classificare le birre.
La classificazione che trova maggior impiego fa riferimento al tipo di lievito utilizzato e, conseguentemente, al tipo di fermentazione. In questo senso le birre si dividono in tre grandi famiglie:
Spesso alle ale sono riconosciute caratteristiche di maggior complessità grazie ai sapori e agli odori ricchi di aromi floreali, speziati e fruttati, mentre le lager sono più frequentemente "pulite" ed evidenziano soprattutto il carattere di malto e luppolo.
Un'altra classificazione particolarmente intuitiva, ma poco significativa se utilizzata come unico fattore di discriminazione, è quella basata sull'indicizzazione del colore, generalmente misurato sulla scala SRM. Il colore dipende dal tipo di maltazione subito dai cereali impiegati, anche se in alcuni rari casi può essere alterato da coloranti naturali come la clorofilla assumendo una colorazione verde smeraldo[43]. Altra caratteristica visiva della birra è data dalla limpidezza o dalla opacità generalmente dovuta alla presenza di lievito in sospensione (nelle birre di produzione industriale il lievito viene eliminato prima dell'imbottigliamento per mezzo di filtri).
Esiste anche una classificazione relativa al grado di amarezza percepito, misurato sulla scala IBU (International Bitterness Unit).
Un'ulteriore classificazione è legata al grado alcolico, generalmente misurato in percentuale di alcol sul volume della bevanda ("titolo alcolometrico volumico"), o alla quantità di zuccheri fermentescibili presenti nel mosto prima della fermentazione misurato in gradi Plato. Questo tipo di tassonomia ha particolare significato per l'industria e il fisco[44]. Ogni nazione ha denominazioni caratteristiche talvolta derivanti dalla tradizione.
Ale
Uno stile di birra contraddistingue la bevanda tenendo conto delle caratteristiche dette in precedenza quali colore, sapore, gradazione alcolica, ingredienti e ricetta, tipo di lievito utilizzato, tipo di fermentazione. Ogni stile ha una suo origine e storia e si è evoluto seguendo non solo tendenze di mercato ma anche l'evoluzione tecnologica e la convenienza economica, talora legata anche alla tassazione. Visti i vari tipi di classificazione possibili, una rigorosa suddivisione tassonomica non è applicabile: per comodità si possono suddividere a grandi linee a seconda del tipo di fermentazione, tenendo conto che fra le birre ad alta fermentazione per stout e birre di frumento non viene solitamente usata la denominazine di ale.
Le ale inglesi hanno un carattere fruttato, anche se meno evidente di quello delle belghe, e spesso evidenziano maggiormente il malto e il luppolo. Si distinguono tra esse gli stili:
Le ale belghe sono in genere più fruttate delle inglesi, spesso speziate ed a volte acidule. Gli stili di questo paese sono davvero tanti e molte birre fanno stile a sé. Tra i più riconosciuti troviamo:
Si annoverano infine alcuni "stili acidi" tipicamente belgi, sempre meno reperibili: le oud bruin, leggere e agrodolci, e le flemish red meno dolci e più acetiche, con commistioni tra i due stili.
Le ale tedesche annoverano le altbier di Düsseldorf - ambrate, non forti, maltate e piuttosto amare - e le chiare, leggere e delicate kölsch di Colonia. Sono entrambi degli stili ibridi in quanto fermentate con un lievito da alta fermentazione, ma ad una temperatura relativamente bassa e maturate ancora più al freddo. Hanno quindi gusto e aroma meno fruttato e più pulito rispetto alle vere e proprie ale.
In Germania si producono anche weizen scure, denominate dunkelweizen o dunkelweissen e birre di frumento più forti: le weizenbock. Infine le berliner weisse, caratteristiche della regione di Berlino, sono più leggere e decisamente acidule.
Sebbene spesso si associ erroneamente il termine lager alla birra chiara, non mancano in realtà lager scure, tra cui:
Ci sono poi lager più forti, rappresentate in Germania dalla famiglia delle bock: di colore chiaro, gusto maltato appena equilibrato dal luppolo, in genere di gradazione alta (6,5% - 7,5% ma anche 8,0% per le scure e caramellate doppelbock). Ci sono poi altre lager extra-strong non appartenenti alle bock che, pur raggiungendo gradazioni alcoliche molto alte, rimangono comunque bilanciate e complesse nel sapore.
Esistono infine moltissime altre lager "internazionali", in buona parte prodotte da grandi industrie multinazionali. Solitamente fanno largo uso di riso e mais (spesso non maltati) per renderle leggere di corpo e poco caratterizzate in aroma; a volte sono associate a termini di mercato come ice o dry.
Il processo birrario è detto "a fermentazione spontanea": non viene inoculato alcun lievito selezionato, ma la produzione usa lieviti e batteri selvatici presenti nell'ambiente come il Brettanomyces bruxellensis (nell'aria o nelle strutture stesse del birrificio); l'inoculazione avviene lasciando raffreddare lentamente il mosto caldo in vasche ampie e poco profonde, per massimizzare la superficie esposta all'aria. Durante la successiva lunga maturazione in botte intervengono altri lieviti selvaggi e batteri presenti nel legno stesso.
Il lambic "puro" non è frizzante, ma "sgasato", ed è raramente commercializzato in questa forma; più spesso viene rifermentato unendo lambic di annate diverse, dando origine alle spumeggianti gueuze; se è invece rifermentato assieme ad amarene o lamponi dà origine rispettivamente alle kriek e alle framboise. Diffuso ma meno tradizionale l'impiego di altri frutti come ribes nero, pesche o fragole. Da notare che il termine kriek viene talvolta utilizzato anche per birre a fermentazione non spontanea aromatizzate alla ciliegia.
La birra, come succede anche con il vino, entra come componente nella cottura di numerosi piatti quali, ad esempio:
Inoltre il prodotto alcolico viene impiegato nella marmellata-birra, una marmellata con ingrediente principale la birra e usata come ripieno di biscotti o come accompagnamento in prodotti da forno, salumi, cracker, carni e verdure.[senza fonte]
La birra contiene vitamine (vitamina B1, B2, B5, B6 e H) oltre che fosforo, potassio, magnesio, zolfo, fluoro, sodio, rame, manganese, zinco, alluminio e ferro. Elementi comunque presenti in parti per milione se non parti per miliardo.
La birra inoltre contiene tirosolo, tryptophol e i seguenti acidi fenolici: feniletanolo, acido 4 -idrossifenilacetico, acido vanillico, acido caffeico, acido siringico, acido p-cumarico, acido ferulico e acido sinapico.
Il luppolo, che viene utilizzato nella produzione della birra, contiene 8-prenilnaringenina (un potente fitoestrogeno), umulene, myrcene, mircenolo, linalolo, alcol 2M2B, isoxanthohumol e xanthohumol.
Il malto, anch'esso usato nella produzione della birra, contiene le prodelphinidins B3, B9, C2.
Alcune società utilizzano additivi per stabilizzare e rendere più durevole la schiuma prodotta dalle molecole di biossido di carbonio in risalita, questi additivi schiumogeni sono: l'azoto, il glicole propilenico alginato e il solfato di cobalto.
La prima fase della produzione della birra prevede la macinazione dei malti e degli altri cereali eventualmente impiegati nella ricetta da Mastro birraio: i chicchi vengono sminuzzati grossolanamente grazie ad un mulino, quindi posti in acqua preriscaldata attorno a 45 -50°C
Segue la fase di ammostamento, ovvero, il mosto costituito da acqua e grani sfarinati viene sottoposta ad un trattamento termico che prevede precise soste termiche a temperature crescenti e per tempi definiti. In questo modo le grandi molecole dei malti vengo solubilizzate, degradate parzialmente a unità più semplici. Durante questo processo, in particolare, l’amido si trasforma in zuccheri semplici, fermentabili dai lieviti.
Con il mash out, alla temperatura di 78°C, il mosto viene sottoposto alla filtrazione, in modo da eliminare le trebbie, cioè i residui solidi del malto e dei cereali. Il mosto liquido viene sottoposto ad un processo di bollitura della durata di circa 90 minuti, durante il quale avviene anche l’aggiunta del luppolo che conferisce il gusto amaro alla birra ed aromi tipici dell’essenza. La scelta delle miscele di luppolo di differenti varietà dono alla birra finita una ricchezza organolettica peculiare e riconoscibile.
Lo step successivo prevede il whirpool, ovvero una decantazione dinamica che elimina i residui del luppolo ed i precipitati soliti, detti “trub”, che si addensano durante la boillitura. Il mosto viene, quindi, portatao alla temperatura di circa 15 o 8°C, in modo da permettere il successivo avvio della fermentazione (rispettivamente ale o lager, in funzione della temperatura a cui è mantenuto il mosto)
L’attività dei lieviti Saccharomyces consente di trasformare nell’arco di 7 – 15 giorni il mosto zuccherino in vera e propria birra contenete etanolo. Durante la fermentazione alcolica si sviluppa anche anidride carbonica, una parte della quale donerà la tipica gasatura alla birra finita, inoltre, si originano nuovi aromi che arricchiscono la birra a livello organolettico.
Un travaso finale consente di eliminare la feccia di lievito, ovvero il deposito di cellule morte che si accumula sul fondo del tino di fermentazione. La birra viene lasciata ad affinare per alcune settimane, in modo da consentire una evoluzione positiva ed un arrotondamento delle caratteristiche organolettiche olfattive e gustative.
Non resta, infine che procedere al confezionamento della birra in bottiglie, fusti o lattine… in modo che possa raggiungere il consumatore finale!
La birra, secondo la ricetta tradizionale imposta dallo Reinheitsgebot, l’editto della purezza promulgato in Baviera nel 1516, è prodotta a partire da malto d’orzo, acqua e luppolo.
L’acqua è l’ingrediente prevalente (90%), ma il malto è sicuramente quello più caratterizzante. Per produrre il malto d’orzo, si parte dai semi di orzo, che vengono fatti germogliare mediante la bagnatura ed il mantenimento a temperature adeguate a favorire lo sviluppo delle piantine (in genere 15°C).
La germinazione del chicco consente lo sviluppo degli enzimi che permetteranno poi di trasformare l’amido, la sostanza di riserva farinosa contenuta all’interno del seme, in zuccheri solubili in acqua. La germinazione avviene su piani di germinazione nell’arco di 5-6 giorni.
Quando i germogli misurano tre quarti della lunghezza del chicco, il malto verde così ottenuto viene essiccato in appositi forni per due giorni: le diverse modalità con cui può essere effettuato questo processo danno origine a vari tipi di malto di diverso colore, in grado di conferire un carattere particolare al prodotto finito. Dopo questa operazione, i chicchi diventano croccanti e assumono un gradevole sapore, tanto che li si utilizza, oltre che per produrre la birra, anche per realizzare altre bevande (per esempio il whisky di malto), nonché biscotti e cereali per la prima colazione.
Successivamente l’orzo maltato è introdotto in un molino, che lo riduce in una farina grossolana, poi diluita in acqua calda (il rapporto è di 200/400 litri di acqua per ogni quintale di malto). La maggior parte delle attuali birre industriali prevede anche l’impiego di altri cereali quali mais, frumento, riso, al fine di conferire un gusto più pieno ed equilibrato.
La miscela così ottenuta, denominata “mash”, viene immessa in una caldaia riscaldante e mescolata al fine di ottenere un insieme omogeneo
Questa fase, denominata amilasi, avviene a una temperatura di 63 °C, dura circa trenta minuti e trasforma l’amido in destrine e maltosio: le prime danno alla birra il tipico gusto “pieno”, mentre il secondo fermenta. Il mosto viene poi filtrato e separato dalle trebbie, ovvero dalle crusche del malto d’orzo.
Una volta filtrato, il mosto viene bollito una seconda volta per circa due ore. In tale fase è aggiunto il luppolo, dotato di proprietà amaricante ed aromatizzante, e caratterizzato specificamente in funzione della varietà e dell’origine (quantità variabile fra i 200 e i 600 grammi per ettolitro). Oltre a donargli il caratteristico aroma, il luppolo chiarifica la birra, rallenta la riproduzione dei batteri (per una conservazione ottimale) e migliora la stabilità della spuma.
In questa fase della lavorazione ulteriori accorgimenti daranno alla futura bevanda i suoi caratteri identificativi: chiara o scura, forte o leggera, dolce o amara, pastosa o secca.
Conclusa la cottura, il mosto si appresta ad abbandonare quello che viene considerato il “cuore” della birreria, ovvero i locali che ospitano le grandi caldaie di cottura. Segue una fase di decantazione, quindi la fermentazione alcolica, che determina la trasformazione degli zuccheri provenienti dal malto in alcol. Si distinguono due fasi: la fermentazione principale e quella secondaria (o maturazione).
La fermentazione principale può essere condotta secondo due “filosofie”: alta o bassa fermentazione.
La prima è sviluppata dal microrganismo fungino Saccharomyces cerevisiae, che svolge il processo ad una temperatura compresa tra 16 e 23 °C. In questo
caso l’azione del lievito è estremamente rapida, e si conclude nell’arco di tre -quattro giorni. Le birre che si ottengono con questo metodo sanno esprimere sapori e aromi particolarmente
intensi, ma sono oggi poco diffuse.
La bassa fermentazione è condotta dal ceppo fungino Saccharomyces carlsbergensis, tra i 5 e gli 8 °C. Verso la fine del processo di fermentazione, che può durare fino a due settimane, questo lievito tende a creare dei fiocchi, che salgono verso la superficie. Le birre prodotto in questo modo hanno generalmente un gusto pulito e sono leggere e fragranti.
Giunta a compimento la fermentazione primaria, la birra viene travasata in un serbatoio in cui avverrà la fermentazione secondaria, ovvero una stagionatura, di durata variabile fra le quattro e le sei settimane, che conclude la “maturazione” della bevanda in modo naturale e determina la presa di spuma.
A questo punto, mentre alcune delle classiche birre ad alta fermentazione proseguono la loro maturazione in fusti o in bottiglie, la maggior parte delle altre viene sottoposta a un passaggio finale mediante progressive operazioni di filtraggio, che hanno lo scopo di eliminare tutto il lievito rimasto ancora in sospensione ed ottenere un prodotto limpido e con un basso livello di torbidità.
Nelle birre artigianali la maturazione può essere condotta direttamente in bottiglia, con la formazione di un deposito del tutto naturale.
Conclusi tutti questi passaggi, la birra può essere sottoposta ad una ulteriore fase di stabilizzazione mediante pastorizzazione, per garantirne la perfetta conservazione durante il periodo di permanenza nei depositi e poi fino al momento del consumo
Con questa breve descrizione della produzione della birra si aprono molti spunti di approfondimento per i nostri lettori: dalla storia delle origini di questa antica bevanda alle tecniche di degustazione, dallo studio delle diverse tipologie di malti e di cereali impiegati alla notevole varietà di luppoli impiegabili, dall’analisi dei gusti e dei sapori delle birre industriali a quelle artigianali, dall’abbinamento con i cibi all’uso della birra come ingrediente di appetitosi piatti…a molte di queste domande tenteremo di fornire risposte esaurienti nel corso delle rubriche di approfondimento che trovate qui elencate:
La birra è un prodotto caratterizzato da una notevole varietà di tipologie, definite tecnicamente “stili”. Per i conoscitori, lo “stile” è la carta d’identità della birra e ne definisce a priori molti parametri come il colore, il sapore, la gradazione alcolica, gli ingredienti, il metodo di produzione, la ricetta, la storia e le origini. Lo studio analitico delle tipologie birrarie è un fenomeno moderno, ma la differenziazione delle birre è molto antica (iniziata verso il 2000 a.C.) e largamente diffusa nella storia e nelle varie culture.
La moderna teoria degli stili brassicoli è in gran parte basata sul lavoro di Fred Eckhardt, la cui guida “The Essentials of Beer Style”, pubblicata nel 1989, fu adottata dal Beer Judge Certification Program (BJCP) per la classificazione internazionale degli stili di birra.
Le caratteristiche chimico-compositive ed organolettiche da prendere in considerazione per definire lo stile di appartenenza di una birra sono
principalmente:
amarezza, dolcezza, titolo alcolometrico volumico, caratteristiche organolettiche generali.
Attualmente non esiste un accordo globale di definizione definizione univoca degli stili. Rispetto alla tipologia di fermentazione possono essere suddivisi in tre macrofamiglie:
Nell’ambito di questi “macro-stili” si differenziano una moltitudine di sfaccettature tecniche, che sono elencate nella parte seguente e descritte nel dettaglio:
Ale
Light Ale, British Bitter, Scottish Ales, Pale Ale, India Pale Ale, Altbier, Brown Ale, Newcastle Brown Ale, Strong Ales, Porter, Stout, French Ales, Belgian Ales, Strong Belgian Ales, Belgian Specialties Ale, Weizen
Lager
American Light Lager, European Light Lager, German Amber Lager, European Dark Lager, Bock
Lambic
Faro, Gueuze, Fruitbeer
Continua la navigazione nelle classificazioni e stili:
Il servizio della birra è un’operazione importante, necessaria per gustare al meglio il prodotto e. Ogni birra ha il suo calice e alcuni accorgimenti devono essere tenuti in considerazione durante la spillatura o la mescita nel bicchiere, nonché nella temperatura di servizio e negli abbinamenti possibili.
Particolare attenzione è inoltre da riporre nella corretta conservazione della birra dalla produzione fino al consumo, per mantenere il più possibile intatte le caratteristiche organolettiche originali.
Per approfondire gli argomenti, visita le pagine:
L’abbinamento di cibo e birra è un elemento fondamentale per raggiungere una perfetta armonia tra tutte le sensazioni percepite durante la degustazione, consentendo quindi la migliore valorizzazione delle caratteristiche organolettiche di entrambi gli alimenti.
Il corretto abbinamento nasce da una profonda conoscenza della tecnica di degustazione e implica una adeguata padronanza delle regole di abbinamento, che si integrano in un processo di elaborazione costituito dai seguenti step:
Oltre alle caratteristiche organolettiche della birra, dettagliatamente affrontate e descritte nella relativa sezione, è necessario utilizzare i corretti descrittori per il cibo. Gli aspetti su cui focalizzare maggiormente la valutazione ai fini del corretto abbinamento sono i seguenti: sapidità, tendenza dolce, grassezza, tendenza acida, tendenza amarognola, untuosità, succulenza, persistenza gusto – olfattiva.
I criteri di fondo sui quali si basa la tecnica di abbinamento cibo – birra sono:
Questi due principi non sono alternativa, ma possono coesistere nella scelta di abbinamento, in relazione alla specifica caratteristica organolettica considerata.
L’abbinamento per contrasto di sapori consiste nell’accostare birre aventi caratteristiche antitetiche a quelle dei cibi, perseguendo l’obiettivo di pulizia della bocca e della predisposizione ad accogliere la porzione successiva. I cibi a tendenza dolce (riso, pasta, vegetali amidacei e zuccherini, crostacei, prosciutto cotto, carne al sangue) richiedono una certa durezza della birra, fornita da componenti acide, sapide e da una spiccata effervescenza.
Gli elementi con spiccata tendenza amarognola, come le carni grigliate, alimenti speziati o aggiunti di erbe aromatiche, insalate amare e carciofi, sono ottimamente controbilanciati da birre molto morbide. Medesime considerazioni possono essere effettuate nel caso di pietanze a tendenza acida, quali condimenti con salse di pomodoro, marinature con limone o aceto.
I piatti a base di carni untuose, come quelle suine grasse, e i cibi succulenti (spezzatino, zuppe di pesce) trovano il giusto accompagnamento con birre particolarmente alcoliche ed amaricante. Allo stesso modo, in termini generali, i cibi grassi (salumi, formaggi) ben si adattano a birre con spiccata effervescenza, buona alcolicità e tannicità.
L’abbinamento per similitudine considera gli aspetti di struttura ed intensità e persistenza gusto-olfattiva. Gli alimenti con struttura consistente richiedono birre altrettanto corpose e strutturate, al contrario con cibi delicati sono consigliate bevande con minor carattere. I cibi particolarmente profumati, come quelli a cui sono state aggiunte spezie e aromi, trovano il giusto equilibrio con birre di particolare aromaticità.
Di seguito si propone un elenco esemplificativo dei piatti che meglio si sposano con i principali stili di birra:
STILE E ABBINAMENTO CONSIGLIATO
LIGHT ALE: Tramezzini, formaggi a media stagionatura
BRITISH BITTER: Sandwich, tramezzini, formaggi freschi
SCOTTISH ALES: Carni rosse, arrosti e stufati, se dolce adatte ai dessert
PALE ALE: Primi piatti, carni leggere, salumi, formaggi
INDIA PALE ALE: Primi piatti con verdure, ortaggi, carciofi ed asparagi
ALTBIER: Primi piatti saporiti, formaggi, selvaggina, se dolce adatte ai dessert
BROWN ALE: Carni rosse, arrosti e stufati, formaggi a media stagionature
NEWCASTLE BROWN ALE: Carni rosse, arrosti e stufati, formaggi a media stagionature
STRONG ALES: Carni rosse, formaggi a media e lunga stagionatura, anche erborinati
PORTER: Carni rosse
STOUT: Carni rosse, selvaggina e formaggi a lunga stagionatura
FRENCH ALES: Primi piatti, carni leggere, salumi, formaggi
BELGIAN ALES: Primi piatti saporiti, formaggi, selvaggina, se dolce adatte ai dessert
STRONG BELGIAN ALES: Arrosti e spezzatini, salumi, molluschi e pesce alla griglia, formaggi a lunga stagionatura e caprini
BELGIAN SPECIALTIES ALE: Carni rosse, arrosti e stufati, formaggi a media stagionature
WEIZEN: Carni di maiale, pesce
AMERICAN LIGHT LAGER: Antipasti e snack leggeri
EUROPEAN LIGHT LAGER: Antipasti, insalate, pomodori ed ortaggi aciduli, pizza, formaggi a pasta filata
GERMAN AMBER LAGER: Carni rosse, arrosti, formaggi a media stagionatura, salumi
EUROPEAN DARK LAGER: Carni rosse, arrosti, formaggi a media stagionatura, salumi, se con residuo zuccherino adatte ai dolci
BOCK: Primi piatti, carni leggere, salumi, formaggi
FARO: Fuori pasto o con alimenti a forte tendenza dolce (riso e pasta al burro)
GUEUZE: Alimenti a tendenza dolce, anche con dessert alla frutta se aromatizzate
FRUITBEER: Dessert alla frutta e aperitivi
Fermo restando i principi sopra esposti, altre modalità di accostamento cibo – birra possono basarsi su:
La degustazione è diventata una vera e propria metodica analitica, scientificamente riconosciuta, sempre più impiegata per valutare le caratteristiche dei prodotti alimentari. La tecnica richiede una particolare attenzione e l’allenamento dei sensi per rendere gli assaggiatori veri e propri strumenti di analisi…ma la degustazione fa riferimento ai più antichi istinti!
Fino a non molti anni fa la maggior parte delle aziende alimentari riteneva che il controllo qualità degli alimenti consistesse unicamente in una
verifica delle caratteristiche chimiche e microbiologiche, al fine di garantire la sicurezza del consumatore ed assicurare la standardizzazione delle produzioni.
In particolare negli ultimi decenni, le caratteristiche organolettiche sono state considerate tra i primi parametri qualitativi, in quanto risultano
quelli che il consumatore è in grado di percepire e valutare direttamente al momento del consumo di un alimento, influenzando la scelta di acquisto.
Per rispondere alle esigenze sempre più evolute ed attente del consumatore, le aziende alimentari hanno spinto l’applicazione e lo sviluppo delle
tecniche di analisi sensoriale. Obiettivi principali di tali tecniche analitiche sono la verifica dell’accettabilità del prodotto durante il periodo di conservazione e l’ottenimento di
informazioni utili a creare o modificare i processi produttivi per realizzare alimenti sempre più rispondenti alle preferenze dei consumatori.
Grazie a queste esigenze commerciali, le tecniche di analisi sensoriale hanno compiuto un notevole sviluppo, passando da applicazioni empiriche a veri e propri test scientifici. Lo strumento fondamentale su cui si basano è l’uomo. Si parla scientificamente di panel, ovvero gruppi di persone, addestrate o meno a seconda del tipo di test effettuato, in numero variabile (da una decina a centinaia di assaggiatori) in funzione di precisi principi statistici, che sono chiamati ad esprimere un giudizio, una parametrizzazione delle caratteristiche di un alimento al fine di valutarlo.
L’approccio che viene applicato è la tecnica dell’”uomo primitivo”. Questo riferimento bizzarro, invece, trova una concreta spiegazione nella sequenza delle operazioni che si attuano nella valutazione, che prevede, in fasi successive l’analisi visiva, poi olfattiva ed infine (e solo alla fine!) gustativa.
L’analisi visiva consiste nell’osservazione dell’alimento, del suo colore, della forma, delle dimensioni, dell’eventule torbidità o gassatura, nel caso di una bevanda. Per esprimere un giudizio di idoneità è necessario, ovviamente, avere un riferimento con cui effettuare un confronto.
Se da questo primo livello dell’analisi si ha un riscontro positivo, si passa all’esame olfattivo, con cui si indaga la presenza di odori sgradevoli (ovvero legati a precedenti esperienze sensoriali negative), oppure l’intensità e la complessità di sensazioni odorose idonee.
Solo dopo il riscontro di una sufficiente accettabilità dei parametri visivi ed olfattivi, l’esaminatore saggia le proprietà gustative, che presumono l’ingestione, la masticazione e l’eventuale deglutizione dell’alimento. Durante tale fase si valutano i quattro sapori fondamentali (dolce, amaro, salato, acido) percepiti dalle papille gustative, ma, per effetto del calore della cavità orale, si sprigionano anche molecole volatili che raggiungono le mucose olfattive mediante l’espirazione.
Durante tali operazioni, si verifica anche l’intervento del senso del tatto e dell’udito, che permettono, ad esempio, la percezione della temperatura,
delle caratteristiche superficiali, della effervescenza o croccantezza del cibo.
Sulla base dell’idoneità dei singoli parametri visivi, olfattivi e gustativi, ma anche sul loro equilibrio e coerenza, è possibile, quindi, effettuare
la valutazione dell’alimento.
L’analisi sensoriale, oltre ad essere una applicazione scientifica, viene svolta da ogni individuo umano nel momento in cui si appresta a consumare un cibo o una bevanda. Potrà sembrare strano, ma anche quando non siamo intenti a degustare l’alimento che ci apprestiamo a ingerire, il nostro corpo pone molta più attenzione all’analisi del cibo di quanto possiamo presumere. E questo ci spiega la ragione “della tecnica dell’uomo primitivo”.
Immaginiamo di ricevere da un amico, che ha la fortuna di avere un proprio orto, un barattolo di confettura di albicocche preparata “in casa”. Lo
riponiamo in dispensa, a fianco di una confezione della medesima confettura di origine industriale. Nel momento in cui ci apprestiamo al consumo, appena apriamo la dispensa ci accorgiamo –
involontariamente – di una cosa: il barattolo di marmellata fatta in casa è più scura, meno brillante!… “ma sarà davvero buona?”
Il dubbio ci assale…allora apriamo il barattolo e continuiamo ad osservare il prodotto: “c’è della muffa sotto il coperchio?”, “è abbastanza consistente
o un po’ liquida?”.
Se trovassimo uno strato di muffa superficiale il destino della confettura sarebbe segnato.
Se invece l’aspetto è convincente, allora si valuta se il nostro naso riesce a percepire qualche cattivo odore, qualche pungenza…qualcosa di insolito:
anche in questo caso sarebbe sufficiente un elemento di inadeguatezza per farci cestinare il barattolo ed il suo contenuto!
Ma se anche il profumo è gradevole, allora si porta una punta di cucchianio di confettura alla bocca, lo si distribuisce omogeneamente nella cavità orale per cogliere ogni minimo dettaglio del sapore e solo se tutte le caratteristiche sono idonee si deglutisce!
…forse siamo inconsapevoli di tutta l’attenzione che il nostro corpo pone per difendersi dal nocumento che un alimento potrebbe causare: solo quando ci troviamo di fronte a qualcosa di sconosciuto o di atipico ci accorgiamo di questa sensibilità. Ma, in effetti, quando ci viene servito un piatto mai assaggiato di una tradizione etnica o di una cultura lontana (o un barattolo di marmellata fatta “in casa” da un amico o dalla nonna!), si prova un certo disagio, una curiosità abbinata ad una strana forma di timore.
Lo stesso atteggiamento lo attuano gli animali selvatici. Pensiamo ad un topolino di fronte ad un pezzo di formaggio: prima di tutto il roditore cerca di capire se ciò che ha individuato è idoneo al consumo, osservando ed analizzando con olfatto ed udito il contesto, poi si avvicina e lo annusa attentamente, infine se ne nutre!
Ed allo stesso modo, così come facciamo noi aprendo una confezione di insalata di quarta gamma (quella già lavata e tagliata), facevano anche i nostri antenati cavernicoli trovandosi di fronte ad un frutto mai visto prima!
La birra più che una semplice bevanda, deve essere considerata un alimento, in quanto apporta all’organismo sostanze utili dal punto di vista
nutritivo ed energetico.
La birra è costituita in prevalenza da acqua (90-93% circa), in cui sono disciolti minerali utili come il Potassio, il Magnesio, microelementi come lo
Zinco, il Selenio, il Cloro e limitate quantità di vitamine idrosolubili. In concentrazioni variabili secondo la diversa tipologia di birra, sono rappresentati anche aminoacidi,
carboidrati e fibra.
Componente di tutte le birre è l’alcol, che seppur presente in tenori limitati (3-4 grammi per 100 cc), ha un rilevante potere energetico, (circa 20-40
kcal/100 cc). Un bicchiere medio (250 cc) di birra apporta circa 85 kcal, inferiore rispetto ad un bicchiere di vino (125 cc) e parecchie in meno di una bibita gasata.
COMPONENTE, UM E QUANTITÀ PER 100 CC TIPICAMENTE REPERIBILI NELLA BIRRA
Calorie: kcal 43 kcal, kj181
Carboidrati g 3,55
Proteine g 0,46
Acqua g 91,96
Ceneri g 0,16
Minerali
Calcio mg 4
Sodio mg 4
Fosforo mg 14
Potassio mg 27
Ferro mg 0,02
Magnesio mg 6
Zinco mg 0,01
Rame mg 0,005
Fluoro mcg 44,2
Manganese mg 0,008
Selenio mcg 0,6Vitamine
Tiamina (Vit. B1) mg 0,005
Riboflavina (Vit. B2) mg 0,025
Niacina (Vit. B3) mg 0,513
Acido Pantotenico (Vit. B5) mg 0,041
Piridossina (Vit. B6) mg 0,046
Folati totali mcg 6
Cobalamina (Vit. B12) mcg 0,02
Colina totale (Vit. J) mg 10,1Aminoacidi
Acido aspartico g 0,016
Acido glutammico g 0,047
Alanina g 0,012
Glicina g 0,013
Prolina g 0,035Alcol
Alcol etilico: g 3,9
Molto importanti dal punto di vista nutrizionale e nutraceutico risultano le sostanze antiossidanti, tra cui i composti fenolici, apportati in larga misura dai luppoli. Tra questi, in particolare lo xantumulone, presente esclusivamente nella pianta del luppolo. A tale molecola, oltre alle importanti proprietà antiossidanti riconosciute a tutti i polifenoli, sono attribuite azioni quale detossificante, regolatore dell’attività del fegato, contrastando diabete ed ateriosclerosi, ed efficacia antitumorale.
La birra può essere considerata un alimento prebiotico perché contiene inulina e fruttoligosaccaridi, che giungono intatti nel colon. A tale livello sono metabolizzati preferenzialmente da Bifidobatteri, contribuendo così allo sviluppo e al mantenimento dei microrganismi endogeni benefici.
L’attività prebiotica limita anche la formazione di sostanze lesive all’interno del tubo intestinale. La presenza della fibra idrosolubile con i suoi effetti prebiotici contribuisce a tutelare la permeabilità intestinale e a causare un graduale assorbimento del glucosio dall’intestino nel sangue. La birra è, pertanto, una bevanda a basso indice glicemico.
La birra, come il vino, trova la sua collocazione ideale se consumata a pasto. Il gusto amaro della birra, oltre ad una valenza edonistica in abbinamento con il piatto, stimola l’appetito. L’anidride carbonica e la presenza di modeste quantità di alcol stimolano le secrezioni gastriche e hanno effetto digestivo. Naturalmente è sempre negativo l’abuso, correlato alla presenza dell’etanolo.
Per approfondire:
L’analisi del mercato della birra a livello globale non può prescindere, in primo luogo, da considerare qual è il legame storico e culturale che relaziona tale bevanda alle tradizioni di consumo della popolazione esaminata.
Infatti, come ampiamente analizzato nella sezione Storia della Birra, ogni civiltà ha avuto un rapporto particolare con la birra: per alcune è la bevanda delle origini, tanto da esserne elemento socio-culturale caratterizzante, per altre un prodotto di recente introduzione e come tale più soggetto a mode e tendenze.
Per comprendere l’evoluzione del mercato, bisogna, inoltre focalizzare che se nel passato i vincoli religiosi giocavano un ruolo fondamentale nel determinare gli stili di consumo di questa bevanda, oggi sono soprattutto le limitazioni imposte dal legislatore per la tutela della sicurezza stradale a favorire la diffusione di bevande non alcoliche o poco alcoliche (tra cui la stessa birra). Altro aspetto da considerare nell’economia moderna è la potenza del marketing e delle strategie di posizionamento, che hanno favorito la diffusione della birra a scapito delle quote di mercato delle altre bevande alcoliche più costose.
L’Europa, fortemente legata alla tradizione birraria, mantiene ancora il primato dei consumi, ma con trend in calo. In USA ed Oceania i mercati sono stabili, mentre l’America Latina si caratterizza per una crescita graduale, ma costante. Molto interessanti le potenzialità degli stati non tradizionalmente consumatori: casi eclatanti sono la Cina ed il Giappone che, a fronte di consumi pro – capite ancora molto limitati, sono rispettivamente il terzo ed il quarto produttore mondiale, con volumi notevoli di export. In Africa, i consumi globali di birra sono bassi, seppur tale bevanda sia l’alcolico più diffuso: pur trattandosi di un mercato allo stato attuale secondario, si prevede uno sviluppo importante nel prossimo futuro.
Il mercato birrario è caratterizzato da importanti fenomeni di import-export: i primi sei paesi produttori, infatti, assorbono i due terzi della produzione globale di birra.
La produzione mondiale è molto frammentata e caratterizzata dalla presenza di grandi industrie, affiancate da molti birrifici di dimensione minore. I birrifici industriali, sono circa 4000 a livello mondiale, di cui circa metà in Europa. L’effetto della crisi economica e l’evoluzione del quadro competitivo ha determinato un processo di concentrazione delle produzioni, che ha ridotto il numero di imprese di settore, ma non i marchi esistenti sul mercato