IL VINO

Una bottiglia e un bicchiere contenenti del vino rosso

Il vino è una bevanda alcolica, ottenuta dalla fermentazione (totale o parziale) del frutto della vite, l'uva (sia essa pigiata o meno), o del mosto.

Generalità

Il vino si può ottenere anche da uve appartenenti ad incroci della Vitis vinifera con altre specie del genere Vitis (ad esempio la Vitis labrusca o la Vitis rupestris) e da uve di specie di Vitis diverse (quale la Vitis chunganensis).

In Italia (ed in tutta l'Unione europea), per proteggere un prodotto di maggiore qualità, prezzo e valore, non si può commercialmente chiamare "vino" il prodotto di fermentazione di uve che non siano Vitis vinifera. Quindi il termine, in caso di commercializzazione di fermentati diversi, deve essere omesso. Sistema comune per ovviare a tale divieto è, ad esempio, quello di citare semplicemente il nome della varietà di uva usata, ovviamente senza citare il termine "vino".

Con tale bevanda si può dar vita anche ad un distillato che, se invecchiato per almeno 12 mesi in legno, prende il nome di brandy. La qualità e diversità tra vini dipendono strettamente dal vitigno, dal clima, dal terreno, dall'esposizione di questo rispetto alla radiazione solare e dalla coltivazione più o meno accurata della vite stessa.

Etimologia

Vino deriva direttamente dal latino vīnum, da un tema mediterraneo[1] da cui deriva anche il greco antico ϝοῖνος woînos[2], classico οἶνος oînos, l'ebraico יין yayin[3] e l'armeno գինի gini[4]. La parola latina è stata prestata all'umbro, all'osco, al falisco vinu, all'etrusco vin(um), al leponzio vinom[4]; in epoca più recente, vīnum è stato prestato alle lingue celtiche[5], alle lingue germaniche[6] e da queste al finlandese viini[4]. Anche i termini slavi per vino[7] è probabile che siano prestiti latini[8][9]. L'ipotesi che vīnum abbia un'origine indoeuropea, comune all'ittita wiyan[10][11], ha oggi poco credito.

Storia del vino

 

 

Nel Valdarno Superiore sono stati ritrovati in depositi di lignite, reperti fossili di tralci di vite (Vitis vinifera) risalenti a 2 milioni di anni fa. Diversi ritrovamenti archeologici dimostrano che la Vitis vinifera cresceva spontanea già 300.000 anni fa. Studi recenti tendono ad associare i primi degustatori di tale bevanda già al neolitico; si pensa che la scoperta fu casuale e dovuta a fermentazione naturale avvenuta in contenitori dove gli uomini riponevano l'uva. Le più antiche tracce di coltivazione della vite sono state rinvenute sulle rive del Mar Caspio e nella Turchia orientale. Nel 2010 in Sicilia presso i complessi sotterranei del monte Kronio (Sciacca) e nello scavo Sant’Ippolito di Caltagirone sono stati scoperti i residui legati del processo di vinificazione di vino in una giara dell'Età del Rame, collocate all’inizio del IV millennio a.C. e rappresentano le testimonianze più antiche d'Europa.

Nel corso del XX secolo gli archeologi si sono imbattuti casualmente nella più antica giara di vino mai rinvenuta. Nel 1996, infatti, una missione archeologica statunitense, proveniente dall'Università della Pennsylvania e diretta da Mary Voigt, ha scoperto nel villaggio neolitico di Hajji Firuz Tepe, nella parte settentrionale dell'Iran, una giara di terracotta, della capacità di 9 litri, contenente una sostanza secca proveniente da grappoli d'uva. La notizia, riferita da Corriere Scienza del 15 ottobre 2002, aggiunge che i reperti rinvenuti risalgono al 5100 a.C., quindi a 7000 anni fa, ma gli specialisti affermano che il vino è stato prodotto per la prima volta, forse casualmente, tra 9 e 10000 anni fa nella zona del Caucaso. Sembra infatti che il primo vino sia stato prodotto del tutto per caso (come è avvenuto per il pane lievitato) per la fermentazione accidentale di uva dimenticata in un recipiente.

È comunque accertato che la produzione su larga scala di vino è iniziata tra il 4100 e il 4000 a.C. datazione inerente ai ritrovamenti della prima casa vinicola trovata nel complesso delle caverne del comune armeno di Areni[12].

I primi documenti riguardanti la coltivazione della vite risalgono al 1700 a.C., ma è solo con la civiltà egizia che si ha lo sviluppo delle coltivazioni e di conseguenza la produzione del vino.

La Bibbia (Genesi 9,20-27) attribuisce la scoperta del processo di lavorazione del vino a Noè: successivamente al Diluvio Universale, avrebbe piantato una vigna con il cui frutto fece del vino che bevve fino ad ubriacarsi. Il cristianesimo vede nel vino un simbolo del sangue di Gesù Cristo, che nel corso dell'ultima Cena egli definì "per la nuova ed eterna alleanza, versato per molti in remissione dei peccati".[13] Il cattolicesimo, in particolare, considera il vino la specie sotto cui, nel sacramento dell'Eucaristia, sarebbe realmente presente il sangue di Gesù Cristo.

Sotto l'Impero romano ci fu un ulteriore impulso alla produzione del vino, che passò dall'essere un prodotto elitario a divenire una bevanda di uso quotidiano. In questo periodo le colture della vite si diffusero su gran parte del territorio (in particolare in ItaliaGallia NarbonensisHispaniaAcaia e Siria), e con l'aumentare della produzione crebbero anche i consumi. Nel 1867 fu rinvenuta in Germania la bottiglia di vino di Spira datata tra il 325 e il 350 d.C. che è conosciuta come la più antica bottiglia di vino ancora chiusa nel mondo.

Ad ogni modo il vino prodotto a quei tempi nell'area del Mediterraneo era molto differente dalla bevanda che conosciamo oggi: a causa delle tecniche di vinificazione e conservazione (soprattutto la bollitura), il vino risultava essere una sostanza sciropposa, molto dolce e molto alcolica. Era quindi necessario allungarlo con acqua e aggiungere miele e spezie per ottenere un sapore più gradevole.

Diversamente, i popoli celtici già prima del contatto con la romanità producevano vini leggeri e dissetanti[14] e li conservavano in botti di legno[15] invece che nelle giare.

Con il crollo dell'Impero Romano la viticoltura entra in una crisi dalla quale uscirà solo nel medioevo, grazie soprattutto all'impulso dato primariamente dai monaci di San Colombano, ed in seguito benedettini e cistercensi. Infatti nella conservazione della viticoltura in particolare si distingue l'opera meritoria dei monaci irlandesi di San Colombano che introdussero il nuovo tipo di vinificazione odierna in uso ai popoli celtici, opereranno in tal senso fin dal VI secolo in tutta la Francia merovingia iniziando dall'abbazia matrice di Luxeuil, presso i Longobardi nel centro-nord Italia dal VII secolo, e soprattutto in epoca carolingia, facendo della potente Abbazia matrice di Bobbio (attivissimo centro di evangelizzazione e di rinascita agricola sotto la protezione del Papa), fondata dal santo abate irlandese Colombano nel 614, un centro monastico di primaria importanza europea per tutto il medioevo grazie al suo ricco e vasto feudo reale ed imperiale monastico. Nella stessa RegolaBenedetto afferma:

«Ben si legge che il vino ai monaci assolutamente non conviene; pure perché ai nostri tempi è difficile che i monaci ne siano persuasi, anche a ciò consentiamo, in modo però che non si beva fino alla sazietà.»

Gian Battista Vico intravide nella concezione medioevale del vino come genere di prima necessità un carattere della barbarie di quest'epoca.[16]

Proprio nel corso del medioevo nasceranno tutte quelle tecniche di coltivazione e produzione che arriveranno praticamente immutate fino al XVIII secolo, quando ormai la produzione ha carattere "moderno". Ciò grazie alla stabilizzazione della qualità e del gusto dei vini, nonché all'introduzione delle bottiglie di vetro e dei tappi di sughero.

Nel XIX secolo l'oidio e la fillossera, malattie della vite provenienti dall'America, distruggono enormi quantità di vigneti. I coltivatori sono costretti a innestare i vitigni sopravvissuti sopra viti di origine americana (Vitis labrusca), resistenti a questi parassiti, e ad utilizzare regolarmente prodotti fitosanitari come lo zolfo.

Nel Novecento invece si ha, inizialmente da parte della Francia, l'introduzione di normative che vanno a regolamentare la produzione (origine controllata, definizione dei territori di produzione, ecc.) che porteranno a un incremento qualitativo nella produzione del vino a scapito della quantità.

Enologia


L'enologia è lo studio del vino in generale. Essa si occupa della viticoltura, della vinificazione, dell'affinamento (compresa la conservazione in cantina) e della degustazione.
Un tastevin, strumento utilizzato tradizionalmente dai sommelier per la degustazione del vino.

Il nome deriva dal greco oinos (vino) e logos (studio).

Composizione chimica del vino

Dal punto di vista chimico, il vino è una miscela liquida costituita principalmente da acqua e alcol etilico (anche detto "etanolo").

Oltre a tali componenti, il vino contiene tantissime altre sostanze, alcune delle quali sono desiderate, in quanto danno un sapore gradevole al vino oppure hanno un effetto positivo sulla salute (ad esempio i polifenoli e le antocianine), mentre altre sostanze sono indesiderate, in quanto danno un sapore sgradevole al vino oppure hanno un effetto negativo sulla salute (ad esempio l'anidride solforosa, la cui concentrazione massima è fissata per legge, essendo altamente tossica[17]).

La tabella seguente riporta i valori tipici di concentrazione dei principali componenti del vino:

Componente Formula chimica % in volume % in peso % in moli Note Fonte
Acqua H2O 70-90 82-85,4 92,6-94,1 È il componente del vino a maggiore concentrazione [17]
Alcol etilico C2H5OH 9-16 6,9-11,7 2,9-5,1 È prodotto durante la fermentazione alcolica degli zuccheri presenti nell'uva. La sua percentuale in volume corrisponde alla gradazione alcolica [17]
Acetaldeide CH3CHO 0,5-30 0,37-18,1 0,17-9,1 È un prodotto secondario della fermentazione alcolica  
Glicerolo C3H8O3 0,32-1,19 0,37-1,38 0,08-0,3 È un prodotto secondario della fermentazione alcolica. La sua concentrazione aumenta all'aumentare della gradazione alcolica [17]
Acido tartarico C4H6O6 0,17-0,45 0,28-0,73 0,02-0,1 Presente nell'uva [17]
Acido lattico C3H6O3 0,08-0,33 0,09-0,37 0,02-0,08 Prodotto dalla fermentazione malolattica [17]
Acido malico HOOCCH(OH)CH2COOH 0-0,44 0-0,64 0-0,1 Presente nell'uva [17]

Altri componenti del vino sono:

  • alcol metilico: particolarmente tossico; si forma dall'azione degli enzimi sulle pectine contenute nella buccia dell'uva;[17]
  • alcoli superiori (cioè con atomi di carbonio superiori a 2);[17]
  • butilenglicole e acido succinico: prodotti secondari della fermentazione alcolica;[17]
  • acido acetico: prodotto secondario della fermentazione alcolica; la sua concentrazione può essere elevata se non si effettua un'adeguata pulizia dei contenitori utilizzati per la produzione del vino;[17]
  • zuccheri: alcuni fermentano per dare alcol (fruttosioglucosio) per cui è presente solo una frazione di essi che non ha completato la fermentazione, mentre altri non vanno incontro a fermentazione (arabinosio e xilosio); talvolta si aggiunge saccarosio al vino durante la sua produzione, ma tale zucchero non è presente nel prodotto finale in quanto reagisce velocemente;[17]
  • acido citrico: è un acido organico presente nell'uva;[17]
  • composti azotati e sali minerali: già presenti nell'uva;[17]
  • composti fenolici: in parte sono presenti nell'uva e in parte sono ceduti dal legno della botte durante l'invecchiamento;[17]
  • composti aromatici: possono essere già presenti nell'uva o formarsi durante il processo di produzione e invecchiamento del vino;[17]
  • vitamine: sono presenti nell'uva; nel vino non è presente la vitamina C, in quanto viene consumata durante il processo di vinificazione;[17]
  • anidride carbonica: prodotta durante la fermentazione alcolica; ha una concentrazione minore nei vini invecchiati;[17]
  • ossigeno: assorbito dal vino durante il processo produttivo;[17]
  • anidride solforosa: è particolarmente tossica; viene addizionata in piccole percentuali per regolare la fermentazione e come conservante.[17]

Classificazione dei vini

Generalità


nazione
 e, in subordine, regione/zona di provenienza;
I vini possono essere classificati in funzione di diversi aspetti. Di seguito i principali.

  • denominazione di origine o indicazione geografica di appartenenza. Si tratta della categoria di differenziazione principale. Un vino (nazionale, europeo, extra europeo che è il caso più frequente) può essere anche "generico" ovvero senza denominazione di origine o indicazione geografica;
  • tipologia (fermo, frizzantespumantepassitoliquorosonovello, e, in subordine, bianco, rosso, rosato);
  • annata
  • vitigno (varietà di vite utilizzata per la produzione) da cui provengono le uve o meglio uvaggio visto che le varietà utilizzate possono essere diverse. I vitigni più famosi e diffusi nel mondo (i cosiddetti "Vitigni internazionali" o "Alloctoni") sono fra i rossi il Cabernet-sauvignon, il Cabernet franc, il Merlot, il Pinot noir, lo Zinfandel e il Syrah; tra i bianchi il Sauvignon, lo Chardonnay, il Muscat ed il Riesling;
  • fascia di prezzo;
  • produttore (cioè la cantina vinicola che ha prodotto il vino) oppure (quando non coincidono) imbottigliatore[18]; nei casi di vini stranieri (specialmente extra UE) in etichetta compare anche l'importatore oppure il distributore (nei casi di vini UE);
  • certificazione (es. vino biologico);
  • macro classificazione organolettica (giovane/maturo, beverino/impegnativo, leggero/potente, secco/amabile, fruttato/evoluto e tante altre).

Altri fattori (più tecnici) possono essere: punteggio assegnato dalle guide, piatto/preparazione da abbinare, gradazione alcolica, caratteristiche sensoriali, ecc. Sempre più importante ormai è anche la classificazione del vino dal punto della metodologia produttiva (si veda sotto): convenzionale, biologico, biodinamico, naturale, vegano.

Classificazione per tipologia

I vini si differenziano tra loro per il sistema di vinificazione (vini normali e speciali) e per le proprietà organolettiche: colore, profumo, gusto e retrogusto; altri parametri concorrono a definire le caratteristiche di un vino: alcol, acidità, sapidità, sensazione di astringenza (dovuta ai tannini). I vini possono essere differenziati in vini fermi o vini effervescenti a seconda del fatto che siano in grado o meno di sprigionare anidride carbonica all'apertura delle bottiglie. Costituisce ulteriore distinzione il contenuto in zuccheri non fermentati del vino (secco, semisecco, dolce o altri termini specifici nel caso degli spumanti). Inoltre ogni vino è caratterizzato da una temperatura di servizio (temperatura ideale per la consumazione) e da abbinamenti ottimali con determinate pietanze.

In pratica, i criteri per suddividere le tipologie di vino sono tanti e diversi, ivi compresi i criteri legali, rilevanti nel caso del vino.

Nota bene: ciascuna delle tipologie descritte sotto sono relative ad una caratteristica principale. Esse, in massima parte, si sovrappongono, a parte le situazioni esplicite di mutua esclusione.

Vini ordinari

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Calici di vino bianco (a sinistra), rosato (al centro) e rosso (a destra).

Si intendono per vini ordinari quei vini immessi al consumo dopo aver subito il solo processo di vinificazione (quindi senza interventi tecnici successivi o aggiunte di altri componenti). L'altra categoria è quella dei vini speciali (vedi sotto).

Vino fermo
Un vino fermo o tranquillo è un vino che non presenta effervescenza.
Vino effervescente
Un vino effervescente è un vino che presenta effervescenza (dovuta alla presenza di anidride carbonica). Il vino frizzante e il vino spumante formano la tipologia del vino effervescente[19].
Il vino bianco viene prodotto con diverse tecniche che lavorano l'acino d'uva bianca, in modo da ottenere il solo succo ed eliminare quindi le bucce. Può essere anche prodotto da uva a bacca nera (ad esempio pinot noir) separando da subito le bucce dal succo, al contrario del processo di vinificazione in rosso, che prevede la macerazione anche delle bucce per estrarne il colore ed i contenuti. Si presenta all'aspetto di colore giallo in varie tonalità (dal verdolino all'ambrato, passando per il paglierino e il dorato); è generalmente caratterizzato da profumi floreali e fruttati e va consumato ad una temperatura di servizio compresa fra 8 °C e 14 °C; al gusto prevalgono le sensazioni di freschezza e acidità, anche se con l'aumentare della temperatura di servizio potrebbero presentarsi sgradevoli sensazioni di amaro. Gli accoppiamenti ottimali sono con le pietanze a base di pescemolluschicrostaceiverdure e carni bianche, ed in generale con piatti di cottura rapida e sughi poco strutturati.
Vino rosato
Il vino rosato si produce utilizzando uve nere lavorate in modo da ottenere succo a veloce contatto con le bucce, da 2 ore fino massimo 36 circa. In questo modo le bucce cedono solo parte del colore al mosto. In alternativa si può usare il metodo del salasso, che consiste nel togliere parte del mosto durante la vinificazione in rosso (quindi in presenza delle bucce), così da ottenere un vino di colore rosato. A parte alcune situazioni specificate dalla legge (in funzione della categoria del prodotto), è vietato (nei paesi UE) produrre rosati mescolando vino bianco e vino rosso. L'eccezione più nota è l'assemblaggio per ottenere successivamente la versione rosé di spumante. Si presenta all'aspetto di colore tra il rosa tenue, il cerasuolo e il chiaretto; è generalmente caratterizzato da profumi fruttati, e va consumato ad una temperatura di servizio compresa fra 10 °C e 14 °C; al gusto prevalgono le sensazioni di leggera acidità, di aromaticità e di lieve corposità. Gli accoppiamenti ottimali sono con pietanze gustose a base di pesce, paste asciutte con sughi delicati, salumi leggeri. Quando si parla di spumante il termine più consueto è rosé invece di rosato.
Vino rosso
Il vino rosso si presenta all'aspetto di colore rosso in varie tonalità (dal porpora al rubino fino al granato e all'aranciato), e viene prodotto dal mosto fatto macerare sulle bucce, così da estrarre polifenoli e le sostanze coloranti naturalmente presenti su di esse. È generalmente caratterizzato da un'ampia varietà di profumi (fiori, frutta, confettura, erbe, spezie) e da una più o meno elevata sensazione di morbidezza, corposità e tannicità; va consumato ad una temperatura di servizio compresa fra 14 °C e 20 °C. Gli accoppiamenti ottimali sono con le carni rosse, la cacciagione, i formaggi, e tutte le pietanze basate su cotture prolungate e sughi strutturati.
Vino arancione
Vino arancione
Bicchiere di orange wine (Collio DOC-ribolla gialla)
Il vino arancione, conosciuto anche come orange wine, è prodotto a partire da vitigni a bacca bianca con macerazione sulle bucce[20][21]. Questo procedimento fa sì che il colore sia tipicamente ambrato o spesso aranciato; a seconda delle modifiche di processo, ve ne sono anche di color oro con svariate sfumature. Sono quasi sempre espressioni di produttori di vino naturale o vino biodinamico. Le possibili varianti produttive sono diverse. A parte il colore, questo particolare procedimento comporta che gli "orange wines" (detti anche "vini macerati") abbiano caratteristiche olfattive e gustative notevolmente peculiari e fuori dall'ordinario[22].
Vino novello
Il vino novello si ottiene mediante macerazione carbonica. Ha un colore intenso e forti aromi secondari o fermentativi. Non può essere immesso sul mercato prima del 30 ottobre[23] (nel recente passato era il 6 novembre) di ogni anno e se ne consiglia un consumo nei primi sei mesi perché poco stabile. Un accoppiamento ottimale e tipico del vino novello è con le castagne, e conseguentemente con gli alimenti a base di farina di castagne, come necci e castagnaccio.
Vino passito
Vino barricatoOttenuto da uve appassite lavorate come per una normale vinificazione. L'appassimento può avvenire in maniera naturale sulla pianta (eseguendo dunque la vendemmia tardivamente) oppure artificialmente ponendo l'uva su dei graticci sui quali viene insufflata aria calda, oppure per effetto della cosiddetta muffa nobile, ovvero la Botrytis cinerea, che attacca gli acini formando una coltre superficiale che fa evaporare l'acqua contenuta nell'acino, aumentando così la concentrazione degli zuccheri.
Barriques per l'affinamento del vino
Il vino barricato viene lasciato invecchiare in botti di legno, con particolare riferimento al legno di rovere che si ottiene dalle querce, ma anche di robiniaciliegio ed altre essenze. Questo procedimento consente al vino di invecchiare lentamente mediante un processo di ossidoriduzione che avviene tramite le fibre lignee: esso dà al vino un aroma più intenso, un odore di tostato e al gusto sarà più equilibrato e più morbido. Il legno cede al vino i tannini idrolizzabili (che sono più morbidi di quelli condensati), polimeri delle catechine presenti nella buccia degli acini e nei vinaccioli, e sentori speziati (es. vaniglia) ed eterei che conferiranno al vino un prezioso bouquet. Le botti di rovere più prestigiose per le loro performance sono le barrique francesi di 225 litri, fabbricate esclusivamente con legni di rovere provenienti dalla foresta di Allier. Il fatto di potere contare su legni che provengono storicamente dagli stessi alberi, consente agli enologi di potere stabilire diversi parametri per l'invecchiamento dei vini. Va segnalato che è diventata prassi comune da parte di produttori vinicoli assai commerciali l'aggiungere al vino trucioli di legno per conferire al vino gusto ed aromi di legni: numerosi enologi ritengono che si tratti di una manovra posticcia che non può assolutamente dare al vino trattato le caratteristiche di un vero invecchiamento in botti di legno pregiato. Infatti si ritiene che l'effetto dei trucioli sia principalmente quello di dare al vino sentori di tostatura senza però contribuire all'evoluzione aromatica che si raggiunge grazie ai particolari equilibri ossidoriduttivi che si vengono a determinare nelle barrique. Inoltre in queste ultime sono presenti le fecce nobili le quali sono la base dell'evoluzione aromatica del vino e in parte della sua stabilizzazione. Ad ogni modo, i disciplinari e/o la legislazione riducono gli ambiti in cui è possibile utilizzare i chips enologici.
Vino frizzante

Vini speciali
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È un vino che presenta una moderata effervescenza dovuta alla presenza di anidride carbonica con una sovrappressione compresa, a temperatura ambiente, tra 1 e 2,5 bar. Sono naturali o gassificati (questi ultimi di mediocre qualità). Quelli naturali sono quasi sempre realizzati con il metodo Charmat.
I vini frizzanti non devono essere assolutamente confusi con gli spumanti che sono vini speciali (e hanno una sovrappressione maggiore): un vino frizzante può essere considerato, a livello di effervescenza e spuma, a metà strada tra un vino "tranquillo" (ovvero senza alcuna presenza di bollicine cioè un vino "fermo") e uno spumante. Sia a livello visivo che, soprattutto in bocca, è relativamente semplice riconoscere l'effervescenza di un frizzante rispetto a quella di uno spumante[24].

Si intendono per vini speciali quelli che dopo il processo di vinificazione e prima di essere immessi al consumo vengono sottoposti ad ulteriori interventi tecnici o all'aggiunta di altri componenti. Questa è la differenza rilevante con i vini ordinari. Da notare che, per la legge e quindi per le trattazioni "tecniche", i vini passiti non sono speciali, come non lo sono i vini frizzanti.

I vini speciali sono:

Classificazione su metodologia produttiva


Dal punto di vista delle modalità con le quali si eseguono le lavorazioni (in campagna e in cantina) ovvero in relazione al ricorso a tecniche e procedimenti per coltivare le viti, ottenere le uve e produrre il vino in termini di impatto sull'ambiente, rispetto della tradizione, aderenza a normative di settore, rispetto di disciplinari o ad attenzione a specifiche filosofie e teorie produttive, abbiamo, attualmente:
La spremitura dell'uva con i piedi dopo la vendemmia, la prima operazione del metodo di produzione tradizionale
  • vini convenzionali;
  • vini biologici;
  • vini biodinamici;
  • vini naturali;
  • vini vegani.

Vino convenzionale

Il "vino convenzionale", è, di fatto, il vino che noi tutti conosciamo. Viene così gergalmente chiamato per differenziarlo dalle altre categorie (es. vino biologico). Esso rappresenta il vino ottenuto impiegando i sistemi ed i metodi attualmente consentiti dalla legge.

In Italia, la prima definizione di "vino" fu sancita con il Regio Decreto del 15 ottobre 1925 n. 2033.

Attualmente l'ordinamento italiano ed europeo sono ricche di leggi[25] e normative[26] che specificano,[27] con dovizia di particolari, tutte le prescrizioni, i divieti e le definizioni per la produzione e commercializzazione del vino.

Vino biologico

Il vino biologico è la definizione giuridica per tutti quei vini certificati da un organismo di certificazione terzo seguendo le normative comunitarie:

  • Reg. CE N°834/07[28] e Reg. CE N°889/08[29] per ciò che concerne principalmente la conduzione agronomica dei vigneti, ovvero la produzione di uve da agricoltura biologica certificata;
  • Reg. CE N°203/12[30] per ciò che concerne principalmente gli aspetti enologici e la vinificazione, ovvero la produzione di vino biologico da uve da agricoltura biologica;
Logo autorizzato applicato in etichetta del vino biologico certificato

Nei suddetti regolamenti e nei relativi allegati si trovano tutte le indicazioni di produzione e le limitazioni di intervento da parte del produttore. Essendo un prodotto certificato, esiste un sistema di controllo che garantisce che le disposizioni siano seguite in tutte le fasi di realizzazione del vino, dal vigneto alla bottiglia.

In sintesi le caratteristiche del vino biologico sono:

  1. le uve utilizzate provengono da agricoltura biologica certificata. Ciò implica divieti nell'utilizzo di fitofarmaci, diserbanti, pesticidi e concimanti di sintesi. Il regolamento è molto chiaro su cosa può essere utilizzato. (Es. rame & zolfo come fitofarmaci e, soprattutto, i quantitativi massimi ammissibili). In più il regolamento impone all'agricoltore anche delle pratiche volte a garantire la fertilità del fondo e l'agricoltura sostenibile (Es. sovesciorotazione delle colture, piantumazione obbligatoria del favino, etc.)
  2. le pratiche di vinificazione avvengono secondo un disciplinare che impone divieti nell'utilizzo di coadiuvanti ed additivi. I pochi prodotti permessi devono avere, ovviamente, origine biologica certificata anch'essi ed entro limiti tracciati e ben definiti,
  3. livelli di anidride solforosa nel prodotto imbottigliato ridotti rispetto al vino "convenzionale" (attualmente[31] 100 mg/l per i vini rossi secchi, e 150 per i vini bianchi secchi),
  4. Il produttore si sottopone ad un processo di certificazione da parte di un organismo di certificazione per ciò che concerne tutto il processo produttivo ed il vino può essere immesso sul mercato solo a fronte dell'esito positivo del processo di controllo;
  5. tutte le fasi della produzione, dal vigneto alla bottiglia, sono tracciate attraverso idonei flussi documentali;
  6. logo autorizzato da apporre nell'etichetta che riporta la certificazione del prodotto e l'organismo di certificazione che effettua i controlli.

Vino biodinamico

Un tentativo di andare oltre l'approccio biologico al vino, attualmente piuttosto permissivo data la possibilità di impiegare in vinificazione diverse pratiche e presidi enologici (circa la metà di quelli usati nel convenzionale[32]) è il vino ottenuto tramite l'approccio biodinamico. Non esiste, tuttora, dal punto di vista legislativo, la definizione di "vino biodinamico". A oggi qualsiasi riferimento a vini biodinamici è un procedimento privato dato che non esiste un riconoscimento normato di tipo pubblico (mentre per il vino biologico invece ci sono leggi e certificazione accreditata obbligatoria).

Inizialmente, il cosiddetto vino biodinamico, o vino prodotto seguendo i dettami dell'agricoltura biodinamica, è stato il vino prodotto secondo la visione "cosmica" di tipo antroposofica attraverso gli insegnamenti di Rudolf Steiner. L'agricoltura biodinamica è un tentativo olistico di unire pratiche colturali biologiche a visioni filosofiche, sforzo che desta critiche e perplessità da parte di coloro che rilevano la non scientificità di alcune componenti esoteriche del sistema[33].

La principale organizzazione mondiale di produttori biodinamici (con sede anche in Italia[34]) è la Demeter (che si richiama esplicitamente al pensiero di Steiner), che verifica ed approva il prodotto apponendo il proprio marchio commerciale registrato (vino Demeter/Biodynamic®)[35]. Viene utilizzato un disciplinare di emanazione Demeter che alcune espressioni nazionali dell'associazione (ad esempio Italia e Francia) personalizzano, per renderlo più restrittivo rispetto a quello internazionale[36]. I limiti di solforosa ammessi sono inferiori a quello del vino biologico e pure minore è il numero di pratiche enologiche ammesse dagli standard biologici[37] (esplicitamente richiamati nel testo del disciplinare come requisito base).

Oltre a Demeter si sono successivamente diffuse altre associazioni di produttori di vino che utilizzano l'agricoltura biodinamica, senza necessariamente ricorrere alla metodologia antroposofica di Steiner.

Non esistono prove verificabili scientificamente di una qualsiasi differenza chimico fisica tra vino ottenuto per vie tradizionali e con metodi biodinamici. Scientificamente è da considerarsi quindi una superstizione.[38][39][40]

Vino naturale

Come per il biodinamico, ad oggi non esiste dal punto di vista normativo e legislativo, la definizione di "vino naturale".

Il vino cosiddetto "naturale" è quello prodotto generalmente da quei piccoli vignaioli che pur aderendo a tutti i principi "naturalistici" dell'agricoltura biologica e di quella biodinamica, non vogliono aderire a regolamenti, certificazioni, ecc. In pratica, non utilizzano prodotti di sintesi o pratiche invasive, ma si sentono un po' vincolati da requisiti tecnici o filosofici di sorta.

A differenza delle altre categorie (in particolare quella del biologico[41]), la filosofia del vino naturale è concepita perché il prodotto sia ottenuto non utilizzando nessuna delle sostanze ammesse in vinificazione dalle altre metodologie (a parte bassissimi quantitativi di anidride solforosa). Similmente, non sono utilizzati i comuni procedimenti chimico-fisici di cantina per il trattamento dei mosti e dei vini (ammessi per il vino biologico, e alcuni, per il biodinamico). La componente esoterica dell'approccio di Steirner è trascurata.

Chi afferma di produrre vini naturali fa spesso appello al concetto di vino del terroir come chiave per fare vino nel rispetto dei cicli della natura e, soprattutto, per favorire l'espressione e la tipicità della zona (vitigno autoctono, terreno, clima, tradizione).

Tuttavia, non esistendo una definizione giuridica di "vino naturale", né, tanto meno, una certificazione di prodotto o di processo, questa tipologia di vino rimane controversa in quanto non è dimostrabile, al consumatore, che molte delle filosofie dichiarate siano effettivamente applicate dal produttore stesso nella fase agronomica ed enologica (Es. l'utilizzo di lieviti indigeni o il non utilizzo di prodotti di sintesi). Al contrario, nel vino biologico, esistendo delle norme comunitarie di riferimento, viene applicato un protocollo di controlli effettuati da un organismo di certificazione terzo, accreditato e riconosciuto da ACCREDIA, al quale ogni singolo produttore si sottopone, tutelando quindi, la veridicità e l'aderenza al disciplinare di fronte al consumatore.

Inoltre, ad oggi, non esistono disciplinari legalmente riconosciuti ed internazionalmente condivisi da seguire per produrre "vino naturale". Esistono, invece, delle associazioni di produttori (quelle francesi sono le più antiche e conosciute), anche nazionali, che riuniscono produttori di vini naturali e che si propongono di rispettare delle regole interne all'associazione.

Concludendo, "vino naturale" è una definizione che può essere fuorviante e che non basta ad indicare, da sola, la maggiore "naturalità" del prodotto rispetto alle altre categorie di vino (Es. vino convenzionale). La definizione generica "vino naturale", infatti, non trova alcun riscontro nelle dichiarazioni ambientali di prodotto o nella normativa comunitaria Reg. CE N°1169/11[42] riguardante la fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori.

Vino vegano

In questa classificazione rientrano tutti quei vini che si sono sottoposti ad un processo di verifica, effettuata da un ente terzo, atta ad indicare che tutti i processi di produzione, agronomici ed enologici, siano stati effettuati non utilizzando qualsiasi prodotto e/o attrezzatura di origine animale.

Questi vini, solitamente, hanno un mercato specifico, ovvero di tutti quei consumatori vegani che desiderano, quindi, un prodotto in assenza totale di sfruttamento animale.

Di solito, le certificazioni per questo genere di prodotto hanno come requisiti minimi:

  • il divieto di utilizzo di attrezzature di origine animale in tutte le fasi del processo. (Es. aratura del fondo con buoi)
  • il divieto assoluto di usare, in fase di vinificazione, additivi di origine animale (Es. albumina o caseina)
  • che tutti i materiali utilizzati non siano di origine animale (Es. Packaging),
  • che venga apposto in etichetta un apposito adesivo (che varia a seconda dell'ente certificatore), che sancisca le caratteristiche vegane del vino.

Sebbene non esista una definizione normativa vera e propria di vino vegano, le certificazioni appoggiano la loro validità sul seguente elenco (non esaustivo) di norme:

  • Reg.ti CE n°1829 e 1830 del 2003 in tema di alimenti e tracciabilità di OGM,
  • UNI EN ISO 22005:2008, certificazione inerente la tracciabilità della filiera produttiva,
  • Reg. CE n°1169/11[43] in tema di comunicazione delle informazioni sugli alimenti ai consumatori.
  • Europen Vegetarian Union, 2015, per le definizioni di "vegetariano" e "vegano", in accordo con la normativa europea di cui al punto sopra.

La conservazione del vino

Contenitori per la conservazione del vino

Tipi di bottiglie

Altri contenitori

Questi sono i principali tipi di contenitori in cui può essere contenuto il vino:

Invecchiamento del vino

Bottiglie di vino sottoposte a invecchiamento in cantina.

Distillazione del vino

Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Distillato.
Apparecchiatura per la distillazione del vino.

Il consumo del vino

Contenitori per il consumo del vino

Produzione del vino

Maggiori Paesi produttori e consumatori

Zone di produzione del vino
Consumo annuale di vino pro capite: ██ - meno di 1 litro ██ - da 1 a 7 litri ██ - da 7 a 15 litri ██ - da 15 a 30 litri ██ - più di 30 litri.

Le zone di produzione nel mondo sono:

I dieci principali produttori mondiali di vino

Dati in milioni di ettolitri
Paese 1981-1985 1986-1990 1991-1995 1996-2000 2001-2005 2006-2010 2011-2015 2017 2018
Italia Italia 72,1 65,7 60,8 54,4 54,0 44,4 47,3 42,5 54,8
Francia Francia 67,5 64,6 52,9 56,3 52,1 48,6 45,7 36,4 49,1
Spagna Spagna 34,0 33,5 26,4 34,2 36,2 35,3 37,3 31,1 45,3
Stati Uniti Stati Uniti 17,7 18,2 17,6 20,4 22,9 20,8 26,7 21,7 23,6
Argentina Argentina 20,5 19,9 15,6 13,5 15,2 16,3 14,2 11,8 15,0
Cile Cile 6,6 4,1 3,3 5,0 7,9 8,9 11,9 12,6 12,8
Australia Australia 4,0 4,3 4,8 7,4 14,3 11,4 11,9 12,3 12,3
Cina Cina   2,7 3,1 9,58 12,0 13,0 12,1 13,8 11,1
Sudafrica Sudafrica 8,6 7,7 8,2 7,8 8,4 9,3 10,8 10,6 11,0
Germania Germania 9,8 10,0 10,4 10,0 9,1 6,9 8,9 9,0 8,4
Portogallo Portogallo 9,0 8,46 7,28 6,8 7,27 7,1 6,3 6,3 6,2
Romania Romania 8,7 7,13 5,53 6,17 2,6 3,3 3,9 3,3 5,1
Russia Russia     3,35 2,5 5,04 7,6 5,7 6,2 5,3
Nuova Zelanda Nuova Zelanda         1,02 1,9 2,5 1,9 2,5
Ungheria Ungheria 4,99 11,0 3,82 4,13 3,57 1,8 2,5 1,8 2,6
Grecia Grecia 5,0 4,24 3,67 3,83 4,02 3,0 2,9 3,1 3,3
Totale 333,6 304 263,1 272,6 282,3 264,4 250,6 258,1 288,9

I dieci principali paesi esportatori di vino

(anno 2018)[46]

Paese milioni di ettolitri
Spagna Spagna 10,4
Italia Italia 9,5
Francia Francia 6,9
Cile Cile 4,1
Australia Australia 4
Sudafrica Sudafrica 2,5
Germania Germania 1,8
Stati Uniti Stati Uniti 1,7
Portogallo Portogallo 1,5
Nuova Zelanda Nuova Zelanda 1,2

Principali paesi per esportazione in milioni di euro

(anno 2017)[47]

Paese miliardi di €
Francia Francia 8,989
Italia Italia 5,873
Spagna Spagna 2,814
Cile Cile 1,741
Australia Australia 1,727
Stati Uniti Stati Uniti 1,280
Nuova Zelanda Nuova Zelanda 1,054
Germania Germania 956
Portogallo Portogallo 752
Argentina Argentina 713

Regolamentazione

Unione europea

Nell'Unione europea la produzione e la classificazione dei vini sono disciplinate da appositi regolamenti comunitari e dalle relative norme nazionali applicative. Nel corso degli ultimi anni la legislazione si è aggiornata con l'emanazione della nuova OCM "Vino"; il riferimento principale è il Regolamento Ce n. 479/2008 del Consiglio per quanto riguarda le denominazioni di origine protette e le indicazioni geografiche protette, le menzioni tradizionali, l'etichettatura e la presentazione di determinati prodotti vitivinicoli. La nuova regolamentazione è in vigore dal 1º agosto 2009.

La vecchia normativa prevedeva la distinzione dei vini in due grandi categorie: Vini da tavola e Vini di Qualità Prodotti in Regioni Determinate (VQPRD). Ora, la macro distinzione concettuale è tra Vino a Origine Geografica e Vino senza Origine Geografica[48]: i primi (DOP e IGP) sono quelli che possiedono un legame territoriale e un disciplinare, i secondi non hanno né legame territoriale né disciplinare di produzione (in sostanza, sono quelli precedentemente definiti "vini da tavola").

Un'altra rilevante novità è che i controlli, come per tutti gli altri prodotti DOP e IGP, non sono più affidati ai Consorzi di Tutela ma agli Enti Controllo, in pratica Organismi di Certificazione accreditati[49]. Pertanto, l'ottenimento e mantenimento delle DOCG, DOC e IGT sono a tutti gli effetti certificazione di prodotto obbligatoria (ovviamente per chi vi aderisce, potendo comunque produrre vino generico e quindi svincolarsi dai disciplinari e dalle leggi sui vini a denominazione/indicazione).

Chiaramente, anche le regolamentazione per la designazione e l'etichettatura è stata aggiornata (Reg. Ce 607/2009).

La suddivisione ufficiale ora distingue (in ordine crescente di specificità):

  • Vino (ex "vino da tavola");
  • Vino Varietale e/o Vino d'Annata;
  • Vino a Indicazione Geografica Protetta IGP;
  • Vino a Denominazione di Origine Protetta DOP;
  • Vino a Denominazione di Origine Protetta DOP con indicazione della sottozona o della menzione geografica aggiuntiva.

Si deve fare molta attenzione quando si parla del concetto (abusato) della cosiddetta "piramide qualitativa" del vino; infatti, le categorie previste dalle leggi sulle denominazioni trattano unicamente la qualità del processo produttivo non la qualità del prodotto in sé. Anche i vari disciplinari per i vini a denominazione forniscono requisiti "minimi" e sono, per quanto attiene alle caratteristiche organolettiche, molto generici. Una legislazione nazionale sulle denominazioni che, invece, storicamente si avvicina molto ad un modello di gerarchia qualitativa sul vino è quella francese.

Legislazione italiana[modifica | modifica wikitesto]

Sino alla pubblicazione del D.LGS. 8 aprile 2010, n. 61 (ovvero dall'11 maggio 2010) la legislazione italiana in materia di vino era retta dalla storica Legge nº164 del 10/2/1992, "Nuova disciplina delle denominazioni di origine". Era questa la norma che istituì i vini da tavola, i VQPRD, etc.

Il D.LGS. 61 (Tutela delle denominazioni di origine e delle indicazioni geografiche dei vini, in attuazione dell'articolo 15 della legge 7 luglio 2009, n. 88) ha abolito la vecchia L. 164 e ha recepito la nuova OCM "Vino" della UE (Regolamento Ce n. 479/2008, Il vino entra nell'era delle DOP)[50]. Pertanto, le vecchie tipologie "vino da tavola", VQPRDVSQPRDVFQPRDVLQPRDVSAQPRD, sono state eliminate (naturalmente, si potranno ancora trovare etichette, precedenti alla revisione normativa, con questi termini). Anche le nuove normative europee sulla designazione ed etichettatura dei vini sono state recepite.

Anche se può sembrare riduttivo o "semplicistico" bisogna ora abituarsi a chiamare la categoria base della "piramide" unicamente "vino" senza aggiungere altre qualifiche (da tavola, etc.) in quanto la legge le ha abolite. Alla base di questa scelta c'è l'obiettivo della UE (e quindi, automaticamente, degli Stati Membri) di dividere il vino (e le altre bevande alcoliche: birra, distillati e liquori) esattamente come tutti gli altri prodotti alimentari (ortaggi, frutta, salumi, olio, formaggi, carni, etc.): quelli a denominazione/indicazione e quelli non a denominazione/indicazione. Per fare un esempio: non si dice prosciutto crudo "generico" e prosciutto di Parma DOP ma si dice "prosciutto crudo" e "Prosciutto di Parma". Quindi per designare un vino al livello base, bisogna solo dire "vino" seguito dalla tipologia, marchio/produttore, eventuale nome di fantasia, ecc. Invece, quando si parla di un vino DOP o IGP è indispensabile, prima di tutto, designarlo con la denominazione o l'indicazione, solo dopo aggiungere le altre identificazioni. In sostanza, la "designazione di vendita" di un vino deve essere solo quella "legale".

La scelta UE di far comprendere il vino (che, storicamente, ha sempre avuto una normazione specifica) nella grande famiglia dei prodotti agroalimentari è stata sancita con l'emanazione del regolamento "quadro", il Reg. Ce n. 1234/2007 sull"Organizzazione Comune dei Mercati agricoli e disposizioni specifiche per taluni prodotti agricoli" (regolamento unico OCM). Tale regolamento è stato abrogato con l'entrata in vigore, dal 1º gennaio 2014, del Reg. CE n. 1308/2013 "Organizzazione Comune dei Mercati dei prodotti agricoli" (nuova OCM unica).

Pertanto, la classificazione italiana ricalca quella europea con alcune peculiarità:

  • 1) la tradizionale sigla IGT, per i vini a Indicazione geografica tipica, può essere utilizzata al posto della corrispondente IGP;
  • 2) anche la classificazione dei vini a denominazione di origine controllata (DOC) e dei vini a denominazione di origine controllata e garantita (DOCG) permane come specificità italiana. Le due categorie possono essere utilizzate al posto della corrispondente sigla DOP che assorbe entrambe;
  • 3) conservazione delle menzioni di sottozone o di sottodenominazioni.

Idonei disciplinari di produzione (vini DOP e IGP) stabiliscono le condizioni da rispettare per rientrare in quelle precise caratteristiche produttrice a garanzia del livello qualitativo:

  • la denominazione di origine/indicazione geografica
  • i confini della denominazione/indicazione
  • le tipologie di coltivazione della vite
  • la resa massima per ettaro
  • il minimo titolo alcolometrico
  • le caratteristiche fisico-chimiche e organolettiche del vino

Con la nuova legislazione sono solo gli enti di controllo ovvero organismi di certificazione[51] (che devono essere sia accreditati nel settore da Accredia sia autorizzati dal Mipaaf) a rilasciare la conformità dei vini DOP e IGP ai disciplinari e quindi a concedere l'uso dei marchi nella commercializzazione. Tale valutazione si basa su campionamenti del lotto da commercializzare e riguarda sia le caratteristiche chimiche che quelle organolettiche. Per i vini DOCG il prelievo e la valutazione deve essere per ogni partita di imbottigliamento. In questo ambito normativo ogni disciplinare di ciascuna denominazione/indicazione specifica l'ente di controllo che rilascia i certificati di idoneità prima della messa in commercio.

Il riconoscimento delle DO/IG è, con la nuova legislazione, eseguito in sede europea (mentre, in precedenza, era a livello di ciascun stato membro). Ad ogni modo il DL 61 istituisce il Comitato Nazionale vini DOP e IGP, un organo del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari Forestali la cui missione è quella di tutelare e promuovere i vini DOP e IGP italiani.

Nelle DOC e DOCG, inoltre, può esservi una "sottozona" che delimita, specialmente nella DOCG, la zona ristretta di produzione del vino. Medesima considerazione vale per il concetto di "sottodenominazione" che è un ulteriore suddivisione nominalistica (all'interno di una denominazione) e che ovviamente corrisponde ad una peculiare tipologia di prodotto. Il tipico esempio di sottodenominazioni è quello in cui una denominazione prevede varie versioni di vino-monovitigno (ad esempio Garda DOC-chardonnay, Garda DOC-pinot bianco, ecc.) oppure una macro-tipologia di vino (Garda DOC-spumante). Un altro esempio di sottodenominazione è il Satèn all'interno della denominazione Franciacorta. E ancora: nella DOCG Asti ci sono le sottodenominazioni Asti spumante e quella Moscato d'Asti. Inoltre quelle denominazioni che contengono le tipologie "spumante", "passito", "frizzante", "vendemmia tardiva", "liquoroso", "passito liquoroso", "rosso", "bianco", "rosato", "tranquillo", ecc. sono esempi di denominazioni il cui disciplinare prevede tali menzioni che corrispondono a "versioni" (non sottodenominazioni vere e proprie).

Più rilevante, invece, è il concetto, previsto da alcuni disciplinari, di sottozona. In pratica, un vino DOP può essere etichettato, insieme al nome della denominazione, anche con il nome di un territorio ben delimitato e più ristretto all'interno dei confini della denominazione. Questo però a patto che tutte le uve provengano solo da tale territorio. Addirittura, in alcuni casi, persino le fasi produttive devono essere realizzate all'interno della sottozona e non nella zona. La sottozona esprime bene il concetto di terroir essendo un'area piuttosto ristretta (si pensi che esistono, infatti, delle DOC il cui territorio è l'intera regione). Esempi di sottozona: la DOC Prosecco prevede la sottozona Treviso; la DOCG Valtellina superiore ha le sottozone MaroggiaSassellaGrumelloInfernoValgella; la DOCG Asti contiene le sottozone CanelliSanta Vittoria d'AlbaStrevi; la DOCG Prosecco di Conegliano-Valdobbiadene include la famosa sottozona Cartizze.

Ancor più peculiare della sottozona (e concettualmente e legalmente diverso) è quello di menzione geografica aggiuntiva. Questa, invece, è la concretizzazione del concetto francese di cru. In pratica, è la possibilità (con regole molto restrittive) di etichettare il vino DOP aggiungendo il toponimo del vigneto da cui provengono le uve. Si comprende bene che questa tipologia è la vera punta della piramide qualitativa del vino. Esempi illustri della menzione geografica aggiuntiva: le menzioni in seno alle denominazioni Barolo e Barbaresco, i primi reali casi italiani di analogia con i concetti di crù classé francesi.

Numero vini italiani DOP-IGP

Attualmente (settembre 2017) il numero dei vini italiani DOP o IGP è così articolato:[52]

  • 74 DOCG (DOP/DOCG)
  • 332 DOC (DOP/DOC)
  • 118 IGT (IGP=IGT)
  • 524 TOTALE

Vino (generico)

Il primo livello della categorizzazione legale del vino, in ordine alla logica delle denominazioni, si chiama semplicemente "vino" (senza altri termini). Questa categoria identifica gli ex "vini da tavola" con uve autorizzate, senza dover rispettare particolari disciplinari di produzione; generalmente, si tratta di vini ordinari, di qualità più modesta, che riportano sull'etichetta la ragione sociale dell'imbottigliatore; facoltativamente possono riportare l'indicazione del colore (bianco, rosato, rosso). Tuttavia la dicitura "vino", senza altre qualifiche, non è sempre sinonimo di "scarsa" qualità ma semplicemente di non appartenenza ad alcun disciplinare di produzione ovvero (almeno negli stati membri UE) "anonimo" rispetto alla logica delle denominazioni di origine.

Spesso, anche se la legge non prevede questi termini, si indica il livello "vino" come "vino comune" o "vino generico" per identificare la categoria, ormai abolita, "vino da tavola". La categoria vino "tal quale" non ha, ovviamente, indicazione di origine, non deve assolutamente indicare le varietà di uva (vitigno utilizzato) né l'annata.

Vino varietale e Vino d'annata

Le categorie "vino varietale" e "vino d'annata" sono due novità introdotta dalla revisione normativa. Queste due tipologie possono anche coesistere (cioè vino varietale d'annata).

Il vino varietale è un vino, privo di denominazione o origine, di cui almeno l'85% delle uve appartiene alla varietà indicata in etichetta. La lista delle varietà con cui si può etichettare un vino come "vino varietale" per lo più comprende i vitigni internazionali.

Il vino d'annata è un vino, privo di denominazione o origine, di cui almeno l'85% delle uve sono state prodotte in un millesimo specifico che può essere riportato in etichetta.

Ambo le categorie appartengono, in termini macro, ai vini generici.

Vino ad Indicazione Geografica Tipica (IGT)


Questa categoria comprende i vini prodotti in determinate regioni o aree geografiche (autorizzate per legge), talvolta secondo un generico disciplinare di produzione; essi possono riportare sull'etichetta, oltre all'indicazione del colore, anche l'indicazione del o dei vitigni utilizzati e l'annata di raccolta delle uve. Da questo livello di vino, diventa obbligatorio un disciplinare di produzione, redatto e approvato secondo le norme della UE (essendo il primo livello della classificazione dei vini a indicazione di origine)
Per indicazione geografica tipica dei vini si intende il nome geografico di una zona utilizzato per designare il prodotto che ne deriva. Corrisponde alla classificazione europea IGP.

La menzione IGT può essere sostituita dalla menzione Vin de pays per i vini prodotti in Valle d'Aosta, e dalla menzione Landwein per i vini prodotti nella provincia autonoma di Bolzano.

È opportuno precisare inoltre che nelle tre categorie sopra descritte si possono trovare anche vini di elevatissima qualità; la loro collocazione tra i vini "generici" o tra gli IGT è dovuta sia a scelte commerciali, sia all'impossibilità, per la loro composizione (vitigni utilizzati), di rientrare nei disciplinari dei vini di qualità delle zone di produzione. Oppure, perché un produttore rifiuta per principio la logica dei disciplinari restrittivi o la politica delle denominazioni[53]. In questo modo, etichettando il proprio prodotto come vino "generico" o vino igp può sperimentare con maggior libertà.

Vino a Denominazione di Origine Controllata (DOC)


La categoria dei vini DOC comprende i vini prodotti in determinate zone geografiche nel rispetto di uno specifico disciplinare di produzione. Questa categoria italiana appartiene a quella DOP europea.
Per denominazione di origine dei vini si intende il nome geografico di una zona viticola particolarmente vocata; esso viene utilizzato per designare un prodotto di qualità e rinomato, le cui caratteristiche sono connesse all'ambiente naturale ed ai fattori umani.

Tali vini, prima di essere messi in commercio, devono essere sottoposti in fase di produzione ad una preliminare analisi chimico-fisica e ad un esame organolettico che certifichi il rispetto dei requisiti previsti dal disciplinare; il mancato rispetto dei requisiti ne impedisce la messa in commercio con la dicitura DOC.

La denominazione di origine controllata fu istituita con il decreto legge del 12 luglio 1963, n. 930.

Vino a Denominazione di Origine Controllata e Garantita (DOCG)


Le DOCG sono riservate ai vini già riconosciuti DOC da almeno dieci anni che siano ritenuti di particolare pregio, in relazione alle caratteristiche qualitative intrinseche, rispetto alla media di quelle degli analoghi vini così classificati, per effetto dell'incidenza di tradizionali fattori naturali, umani e storici e che abbiano acquisito rinomanza e valorizzazione commerciale a livello nazionale ed internazionale.
La categoria dei vini DOCG comprende i vini prodotti in determinate zone geografiche nel rispetto di uno specifico disciplinare di produzione. Questa categoria italiana appartiene a quella DOP.

Tali vini, prima di essere messi in commercio, devono essere sottoposti in fase di produzione ad una preliminare analisi chimico-fisica e ad un esame organolettico che certifichi il rispetto dei requisiti previsti dal disciplinare; l'esame organolettico inoltre deve essere ripetuto, partita per partita, anche nella fase dell'imbottigliamento, per i vini DOCG è infine prevista anche un'analisi sensoriale (assaggio) eseguita da un'apposita Commissione; il mancato rispetto dei requisiti ne impedisce la messa in commercio con la dicitura DOCG.

Le DOCG e le DOC sono le menzioni specifiche tradizionali utilizzate dall'Italia per designare gli ex VQPRD (vini di qualità prodotti in regioni determinate) ora DOP.

Vino a Denominazione di Origine Protetta (DOP)


La specificazione "Classico" indica un vino prodotto in una zona di origine più antica nell'ambito della stessa DOCG o DOC.
Nell'ambito dei vini DOP, alcune denominazioni prevedono anche le tipologie "Classico", "Riserva" o "Superiore".

  • La qualificazione di "Riserva" è attribuita ai vini che vengono sottoposti ad un periodo di invecchiamento più lungo rispetto a quello previsto dal disciplinare e con regole produttive maggiormente restrittive.
  • La dicitura "Superiore" è attribuita ai vini che hanno una gradazione alcolica più elevata rispetto a quella delle tipologia base di vino specificata dal disciplinare.

Etichetta


L'etichetta costituisce una sorta di "Carta d'identità" del vino, in quanto contiene tutti gli elementi necessari per identificare il prodotto a cui si riferisce.
Un'etichetta del 1884

Le informazioni che devono essere riportate sull'etichetta sono stabilite sia dalle norme in vigore che dai rispettivi disciplinari di produzione; devono essere riportate le informazioni relative alle analisi chimiche del prodotto, grado alcoolico con tolleranza 0,5% in volume, calcolato a 15 °C, in quanto il volume dell'alcool e dell'acqua variano in modo differenziale al variare della temperatura, indicazione dei solfiti contenuti, capacità del contenitore, comune di produzione, ragione sociale e sede dell'imbottigliatore, nome dell'azienda, lotto. Le indicazioni obbligatorie e facoltative da riportare in etichetta cambiano a seconda della categoria merceologica/legale di vino e sono numerose.

Quando, obbligatoriamente o facoltativamente, si riporta l'annata, la legge impone che il tetto minimo di vino dell'annata indicata sia dell'85%.

A partire dalla vendemmia 2005 è diventato obbligatorio anche in Italia indicare la presenza di solfiti.

Il vino "generico" deve obbligatoriamente presentare in etichetta la parola "vino" e, quando è applicabile, anche la tipologia specifica ("vino liquoroso”, "vino passito", "vino da vendemmia tardiva", “vino spumante”, "vino spumante aromatico", "vino spumante gassificato", “vino frizzante”, "vino frizzante gassificato"). Da notare che il colore non è una qualifica obbligatoria per legge (sebbene quasi sempre presente sulle etichette del vino imbottigliato destinato alla vendita al dettaglio).

Il vino varietale deve riportare l'indicazione del vitigno principale (se almeno l'85% dell'uvaggio o del taglio è composto da questa varietà) e di eventuali altri in ordine decrescente di %.

Un vino IGP o DOP non deve riportare la parola "vino" visto che è sufficiente l'indicazione geografica o la denominazione di origine (che è, a tutti gli effetti, un marchio di qualità europeo) a far capire che si tratta di un vino (non si trova scritto vino Barolo ma solo "Barolo"). Anzi, aggiungere la parola "vino" o "spumante" è snaturare la peculiarità delle denominazioni.

Per un vino spumante, sia "generico" che IGP/DOP, è obbligatorio la qualifica del tenore zuccherino (pas dosé, extrabrut, brut, extradry, dry, demisec, dolce). Per quelli non spumanti, la terminologia è secco, abboccato, semidolce (ex amabile), dolce.

Inoltre, la normativa specifica le dizioni per i diversi attori della filiera (imbottigliatore, produttore, venditore, importatore). L'indicazione dello Stato Membro da cui proviene il vino è sempre obbligatoria. Per i vini IGP/DOP, la dizione "integralmente prodotto” significa che l'azienda vitivinicola ha prodotto e imbottigliato solo essa stessa (quindi non ha fatto vinificare/elaborare/affinare e/o imbottigliare presso terzi) il vino utilizzando solo uve di proprietà (quindi non acquistate da terzi).

Prodotti vitivinicoli aromatizzati


a) i vini aromatizzati;
I prodotti vitivinicoli aromatizzati[54] sono bevande alcoliche a base di vino o di altri prodotti vitivinicoli (ad esempio il mosto). Attualmente, nei paesi UE sono disciplinati dal regolamento (UE) n. 251/2014. In sostanza sono:

  • b) le bevande aromatizzate a base di vino;
  • c) i cocktail aromatizzati di prodotti vitivinicoli.

I vini aromatizzati non vanno confusi con i vini aromatici che sono quelli ottenuti dai vitigni aromatici, come ad esempio moscati e malvasie. Oltre ai vini aromatici esistono anche quelli semiaromatici, ottenuti da vitigni come la glera, il sauvignon e altri.

Effetti del vino sulla salute

Sebbene il consumo eccessivo di alcool abbia effetti anche molto negativi sulla salute (l'etanolo non solo è un componente psicotropo[55] ma è pure una sostanza classificata dall'OMS "cancerogena del gruppo 1"[56]), studi epidemiologici hanno ampiamente dimostrato che un consumo moderato è associato ad una diminuzione dei problemi cardiovascolari come l'insufficienza cardiaca[57]. Tale tesi è suffragata da ulteriori studi sul paradosso francese[58]. Questo paradosso illustra l'incidenza relativamente bassa della coronaropatia in Francia nonostante il consumo relativamente alto di grassi saturi nella dieta tradizionale francese. Alcuni epidemiologi ritengono che questa differenza sia dovuta all'alto consumo di vino da parte dei francesi, ma questa teoria non ha al momento solide basi scientifiche. Poiché il bevitore moderato medio tende a fare spesso esercizio fisico, ad essere attento alla propria salute, e ad avere un retroterra culturale e socioeconomico solido, l'associazione tra consumo moderato di vino e salute migliore potrebbe essere legata a fattori collaterali o rappresentare una correlazione piuttosto che un rapporto di causa-effetto[57].

Studi sulla popolazione hanno rilevato un'associazione tra consumo di vino e rischio di problemi cardiaci, rappresentata da una J-Curve: i bevitori pesanti presentano un rischio elevato, mentre i moderati (fino a 20 grammi di alcool al giorno, corrispondenti a circa 120 ml di vino a 13°) presentano un rischio minore di quello degli astemi. Altri studi hanno associato il consumo moderato di altri alcolici può risultare cardioprotettivo, ma in misura minore rispetto al vino[59]. In più, è stato rilevato che il consumo di vino rosso presenta più benefici rispetto al vino bianco, anche se altre ricerche non hanno trovato differenze. Il vino rosso contiene più polifenoli del bianco, e tali composti sono ritenuti essere particolarmente protettivi contro i problemi cardiovascolari.[57].

In alcune ricerche su animali, è stato dimostrato che il resveratrolo, composto chimico presente nel vino rosso, ha proprietà protettive per il sistema circolatorio e verso gli agenti esterni[60]. Dosi basse di questa sostanza in topi di mezza età hanno avuto effetti sui fattori genetici legati all'invecchiamento, e possono conferire una protezione speciale al cuore. In particolare, il resveratrolo a basso dosaggio imita gli effetti di una dieta ipocalorica, col 20-30% di calorie in meno rispetto ad una dieta normale[61].

Il resveratrolo si trova in natura nelle bucce degli acini d'uva come reazione alle infezioni fungine e all'esposizione ai lieviti durante il processo di fermentazione alcolica. Poiché il vino bianco ha un contatto minimo con le bucce durante la fermentazione, generalmente esso presenta bassi livelli di resveratrolo.[62]. Tra i composti chimici benefici presenti nel vino vi sono anche altri polifenoli, antiossidanti e flavonoidi[63]. Per beneficiare appieno degli effetti del resveratrolo, si consiglia di sorseggiare lentamente il vino: a causa dell'inattivazione che subisce nelle viscere e nel fegato, la maggior parte del resveratrolo consumato non raggiunge il circolo sanguigno. Tuttavia, bevendo lentamente, le mucose della bocca consentono un assorbimento massiccio della sostanza[64].

I vini rossi provenienti dal sud della Francia e dalla Sardegna presentano livelli alti di tannini condensati (proantocianidine), composti presenti nei semi ritenuti responsabili dei benefici del vino rosso sul cuore. Questi vini rossi contengono una quantità di tannini condensati da due a quattro volte superiore rispetto agli altri vini oggetto di studio. Le proantocianidine impediscono la sintesi di peptidi chiamati endoteline, che ostruiscono i vasi sanguigni[65].

Uno studio del 2007 dimostra che vini bianchi e rossi sono efficaci agenti antibatterici contro alcuni ceppi di Streptococcus[66]. In più, un articolo nel numero di ottobre 2008 de Cancer Epidemiology, Biomarkers and Prevention sottolinea che il consumo moderato di vino rosso può diminuire il rischio di cancro al polmone negli uomini[67]. Tuttavia, se studi epidemiologici e di laboratorio evidenziano da un lato un effetto cardioprotettivo, dall'altro non esistono studi controllati sull'effetto delle bevande alcoliche sul rischio di sviluppare problemi cardiaci o ictus. Un eccessivo consumo di alcool può causare cirrosi epatica e alcolismo[68]; l'American Heart Association invita a consultare il proprio medico su rischi e benefici derivanti da un consumo moderato di alcool[69].

Allo studio vi sono anche gli effetti del vino sul cervello: è stato osservato che il vino prodotto dall'uva Cabernet-sauvignon riduce il rischio di contrarre la malattia di Alzheimer[70][71]. Un altro studio ha rilevato che, tra gli alcolisti, il vino danneggia maggiormente l'ippocampo rispetto ad altre bevande alcoliche.[72].

I solfiti, in particolare in persone sofferenti di asma, possono causare reazioni avverse. Essi sono presenti in tutti i vini e si formano naturalmente nel processo di fermentazione. Molti produttori di vino aggiungono biossido di zolfo per aiutarne la conservazione. Questo composto viene anche aggiunto in cibi come le albicocche secche e il succo d'arancia. La quantità di solfiti aggiunti varia: alcuni vini sono stati commercializzati con basso contenuto di solfiti[73]. Uno studio condotto su donne nel Regno unito, chiamato The Million Women Study, ha rilevato che un consumo moderato di alcol può aumentare il rischio di alcuni tipi di cancro, inclusi quelli alla mammella, alla faringe e al fegato[74].

L'autrice principale dello studio, Valerie Beral, ha affermato che esiste una scarsa evidenza sul fatto che gli effetti positivi del vino possano prevalere sul rischio di cancro. Il professor Roger Corder, autore de The Red Wine Diet, ribatte che due piccoli bicchieri di vino ricco di proantocianidine possono dare benefici, anche se i vini reperibili nella grande distribuzione sono altamente alcolici e hanno una bassa concentrazione di sostanze benefiche[75].